A Roma, nelle prime ore del giorno, un gruppo di persone radunate a Palazzo Migliori ha partecipato alla messa esequiale per papa francesco. La residenza, situata vicino a piazza San Pietro, è stata scelta come luogo di raccolta per gli ospiti della comunità, molti di loro senza fissa dimora e affetti da fragilità sociali. Tra ricordi e emozioni, si è respirato un clima di rispetto e gratitudine verso il pontefice che ha lasciato un segno profondo in questa comunità.
La quiete di palazzo migliori lontano dal trambusto di piazza san pietro
Le prime ore della giornata a Roma si aprivano con una piazza San Pietro già brulicante di fedeli e curiosi, tutti alla ricerca di un posto per seguire i funerali di papa francesco. In contrasto con questo scenario vivace, all’interno di Palazzo Migliori regnava una calma quasi domestica. La struttura, un edificio storico costruito nel 1800 da una famiglia romana nobile, era stata donata dal pontefice stesso nel 2019 alle persone senza dimora. Il palazzo è gestito dalla comunità di Sant’Egidio, che ormai da anni accoglie circa 45 ospiti in condizioni di povertà o isolamento.
La quotidianità al secondo piano tra colazioni e condivisione
Al secondo piano, nella sala da pranzo, il ritmo delle attività mattutine rispecchiava la quotidianità del luogo. Marco Cimolino, uno degli operatori, preparava colazioni semplici con latte, caffè, fette biscottate e qualche dolce. Nonostante la giornata speciale, il supporto alle persone che vivono qui seguiva il suo corso, con la differenza che gli ospiti potevano restare più a lungo e seguire insieme la cerimonia in tv. Tra di loro, 22 erano italiani, con una netta presenza maschile e poche donne, alcune accompagnate dalle loro badanti. Il senso di famiglia e cura si percepiva chiaramente negli sguardi e nei gesti, creando un’atmosfera di condivisione intensa.
L’impatto emotivo della messa esequiale sulla comunità di sant’egidio
Poco prima dell’inizio della messa, alcuni ospiti hanno deciso di allontanarsi per mescolarsi con la folla in piazza San Pietro. Questo gesto non indicava distacco o disinteresse ma era legato a un senso di disagio provocato dalla propria condizione sociale. Chi vive in strada, senza accesso regolare a servizi come una doccia o vestiti puliti, si porta addosso una sensazione di inadeguatezza difficile da superare quando è circondato da un ambiente ufficiale o formale.
Gennaro, 84 anni, faceva parte del gruppo più presente nella sala. Conosceva diversi vescovi e cardinali, e commentava la cerimonia con una consapevolezza che solo l’esperienza di una vita accanto alla fede può offrire. Intorno a lui c’erano volti noti per chi frequenta Palazzo Migliori, come Carlo Santoro e Marco Bartoli, membri della comunità di Sant’Egidio, e Marco Cimolino, che vive e lavora con questi “ragazzi”. Anche Pina, la donna addetta alle pulizie, si affacciava spesso, tenendo sott’occhio lo svolgimento del rito prima di tornare al lavoro. Qui, la messa esequiale era qualcosa di più di una cerimonia: era un momento da vivere tutti insieme.
Testimonianze e presenze nella sala durante il rito
Durante la messa, gli sguardi degli ospiti erano puntati sullo schermo che trasmetteva la cerimonia. Violetta stringeva il rosario mentre ascoltava musica dalle cuffie, trovando nella sequenza dei canti un modo per concentrarsi. Sul suo abbigliamento, elementi di colore e femminilità emergevano nonostante la durezza della vita vissuta in strada. Nikolai, seduto al tavolo con il cappello della diocesi di Parma e una maglietta gialla con una frase di Giovanni Paolo II, appariva assorto ma tranquillo. Rosa, invece, seguiva la tv pur lamentandosi di un dolore alle gambe. Nicholas, che ha vissuto decenni a Roma e stava per compiere 70 anni, mostrava una commozione palpabile. Le sue pause nel parlare tradivano la difficoltà di esprimere l’emozione legata a un ricordo così importante.
Emilia, una delle poche donne presenti, era tornata dopo una pausa per fumare e scherzava con Marco. Portava con sé un ombrello colorato e indossava un cappello di lana blu, mentre teneva stretta la borsa a tracolla. Definiva papa francesco “un mio amico” ma non si lasciava andare a ulteriori dettagli con i giornalisti. Osservava spesso il vangelo posto sulla bara del pontefice, una presenza che a Palazzo Migliori assumeva un significato profondo. Alberto, un uomo anziano di recente arrivo, preferiva restare in silenzio, nelle sue mani conserte. La sua solitudine appariva come una scelta per mantenere una copia di pace interiore.
La presenza di papa francesco come segno di vicinanza ai più fragili
Durante il momento della pace, gli ospiti di Palazzo Migliori si sono alzati per scambiarsi un gesto semplice ma carico di significato: la stretta di mano. Un atto che confermava la condivisione di un percorso e la volontà di riconoscersi compagni nonostante le difficoltà. Dalle finestre aperte, il rumore della piazza riecheggiava all’interno della stanza, un mondo a cui queste persone si sono spesso sentite estranee o escluse.
Papa francesco ha voluto invece mantenere accanto a sé proprio chi vive ai margini, come un custode del cuore della fede e di un ideale di umanità. Quel legame con i poveri e i vulnerabili ha trovato a Palazzo Migliori una testimonianza concreta, fatta di presenze, storie e volti che hanno potuto dar voce ad un sentimento di appartenenza e rispetto difficile da trovare altrove. In quel luogo, la figura del pontefice si è rivelata come una presenza viva e palpabile, che continua a influenzare chi ha incontrato nel suo cammino.