Il pronto soccorso dell’ospedale di Ivrea continua a essere teatro di violenze contro il personale sanitario. Solo nelle ultime ore, due operatrici socio-sanitarie sono state aggredite fisicamente. Un evento purtroppo non isolato, che evidenzia come la sicurezza negli ospedali resti un problema irrisolto. L’episodio ha riacceso le tensioni tra sindacati, dirigenti e istituzioni locali, in assenza di adeguate risposte operative.
Il episodio delle due operatrici soccorse a Ivrea
La cronaca si è ripetuta l’altro giorno nel pronto soccorso dell’ospedale di Ivrea, dove due OSS sono state aggredite mentre erano in servizio. Una delle due è finita in infortunio a causa delle lesioni riportate, mentre l’altra ha proseguito il turno, nonostante fosse ferita e in evidente difficoltà. Questo fa emergere una condizione preoccupante: la mancanza di personale sostitutivo spinge gli operatori a continuare a lavorare malgrado gli infortuni.
Nessuna simulazione, nessun episodio isolato, ma la quotidianità nell’ambiente ospedaliero è segnata da un crescente rischio di aggressioni fisiche e verbali. Il pronto soccorso, che dovrebbe essere un luogo protetto per chi cerca cure, si trasforma spesso in un ambiente ostile dove gli operatori devono guardarsi anche dai pazienti o da chi li accompagna.
La risposta del sindacato Nursind e la richiesta del tavolo sicurezza
Affrontare queste dinamiche ha portato il sindacato Nursind a inviare un’altra lettera alla direzione dell’azienda sanitaria locale e alla conferenza dei sindaci. Giuseppe Summa, segretario territoriale, ha ribadito la necessità di convocare il tavolo sicurezza, organismo istituito dal primo marzo 2024, ma mai realmente attivo.
Nella comunicazione ufficiale inviata questa mattina, Summa ha sottolineato ancora una volta l’urgenza di un confronto formale, anche a seguito dell’ultimo episodio di violenza. Nel documento si richiama la mancanza di risposte ufficiali a una prima richiesta datata 17 febbraio, evidenziando come il silenzio delle istituzioni alimenti un clima di impunità. In assenza di azioni concrete il rischio è che altri operatori finiscano per subire aggressioni senza alcuna protezione.
L ’ aumento delle violenze e le cause sottese nel pronto soccorso
Secondo quanto riferito dal sindacato, la crescita delle aggressioni è legata ad un sovraffollamento continuo del pronto soccorso di Ivrea. L’elevato numero di accessi riguarda spesso pazienti in condizioni sociali difficili, con problemi di dipendenze o gravi disagi personali. Queste situazioni complicate richiederebbero interventi coordinati tra sanità, servizi sociali e forze dell’ordine per gestire rischi e tensioni.
Invece, si assiste a una risposta frammentata che non previene gli episodi violenti. Le aggressioni si susseguono, mentre chi è in prima linea è lasciato senza strumenti adeguati: niente telecamere di sorveglianza operative, assenza di personale di vigilanza, e nessuna formazione specifica per riconoscere e gestire i segnali d’allarme. Gli operatori ricevono solo incoraggiamenti vuoti a “tenere duro”, come se si trovassero in un contesto di guerra che si trascina senza fine.
Il silenzio delle istituzioni e le condizioni al pronto soccorso
Nonostante la gravità dei fatti, la reazione delle vertici politici e della direzione sanitaria resta scarsa. Nessuna dichiarazione ufficiale, assenza di comunicati stampa o di iniziative concrete. Questo silenzio viene percepito come una mancanza di rispetto per chi lavora ogni giorno negli ambienti più esposti al rischio.
A Ivrea l’ospedale e il pronto soccorso si trovano in una situazione critica, dove il personale spesso ha a che fare con tensioni fuori controllo e rischi che esulano dalle normali operazioni sanitarie. L’assenza di supporti strutturali e di interventi preventivi rende il lavoro sempre più difficile e pericoloso. La battaglia quotidiana degli operatori, che devono affrontare aggressioni e minacce, non sembra trovare un punto di svolta nelle stanze dei piani alti.
Gli episodi di violenza nel pronto soccorso di Ivrea sono il segno di una fragilità del sistema che rischia di compromettere la sicurezza di chi assicura assistenza in condizioni molto complicate. Lo scenario resta aperto, in attesa di risposte concrete che vanno al di là delle lettere e dei tavoli mai convocati.