Stefano e Daniela, genitori di Andrea, un giovane di 20 anni affetto dalla rara malattia di Lafora, stanno cercando disperatamente una possibilità di trattamento per il loro figlio. Mentre altri pazienti in regioni come il Lazio stanno ricevendo cure, la famiglia è giunta a una situazione critica in Lombardia, dove le strutture sanitarie hanno negato l’accesso a una terapia che potrebbe alleviare la progressione della malattia. Questo articolo segue le loro vicissitudini, mettendo in luce le sfide e le speranze di altri pazienti in situazioni simili.
La malattia di Lafora e le sue conseguenze devastanti
La malattia di Lafora è una patologia neurologica rara e progressiva, caratterizzata da un deterioramento delle funzioni cognitive e motorie. Derivante da un’alterazione genetica, questa condizione causa l’accumulo di zuccheri nel cervello a causa della mancanza di proteine necessarie per il metabolismo del glicogeno. Superficialmente, la malattia si manifesterebbe con crisi epilettiche e una perdita progressiva di autonomia, con una prospettiva di vita limitata a pochi anni dall’esordio dei sintomi.
La risonanza sociale di questa sindrome è drammatica, poiché i pazienti, ancora giovani come Andrea, sono spesso costretti a ricorrere a trattamenti sperimentali. I miglioramenti sono rarissimi e i genitori, come nel caso di Stefano e Daniela, si trovano di fronte a un’esperienza straziante che coinvolge visite in diversi ospedali, esami invasivi e la continua speranza in nuove terapie. A questo link, ci sono le storie di altri pazienti, come Carola nel Lazio, che ha trovato al Bambino Gesù di Roma un supporto e una cura che Andrea non può ottenere.
Le difficoltà nell’ottenere il farmaco Myozyme
Nelle ultime settimane, la famiglia Mariani ha vissuto l’angoscia di una battaglia burocratica per il farmaco Myozyme, una terapia enzimatica già utilizzata in altre regioni. Dopo aver ricevuto la diagnosi di malattia di Lafora nel 2020, Andrea ha visto la sua salute declinare inesorabilmente. Nel frattempo, diversi tentativi di accedere a studi clinici per terapie sperimentali sono stati infruttuosi per ragioni di età e disponibilità.
I genitori si sono rivolti all’Istituto Mario Negri di Bergamo per avviare il percorso di somministrazione del farmaco. Tuttavia, la richiesta è stata rifiutata poiché non c’erano evidenze scientifiche sufficienti per giustificare un trattamento così costoso. La criticità della situazione porta i genitori a interrogarsi sul motivo per cui in altre regioni, come nel Lazio, i pazienti riescano a ricevere questa terapia, mentre in Lombardia le opinioni delle strutture preposte risultano contrarie.
Sfide e ostacoli burocratici
La situazione di Andrea è aggravata da una serie di ostacoli burocratici che ormai la famiglia conosce a menadito. La dottoressa del Besta di Milano che segue Andrea ha tentato di presentare richiesta per l’utilizzo del farmaco Myozyme. Tuttavia, la scarsa evidenza scientifica sul suo effetto ha portato a un secondo rifiuto. Anche se alcuni dati sembrano suggerire che il farmaco possa attraversare la barriera ematoencefalica, le difficoltà nel dimostrare l’efficacia del medicinale continuano a frenare l’iter burocratico.
Oltre a ciò, la situazione economica gioca un ruolo cruciale nel processo di approvazione. Le famiglie si trovano a combattere non solo contro una malattia devastante, ma anche contro la rigidità dei protocolli burocratici che spesso non tengono conto della drammaticità delle condizioni. La mamma di Carola ha mandato la sua esperienza nel convegno europeo sull’epilessia, sperando di fare pressione affinché vengano riconosciuti i benefici del farmaco e accelerare i processi decisionali.
Un appello per la vita
La lotta della famiglia Mariani per garantire a Andrea una chance di trattamento è diventata un appello collettivo per tutte le famiglie che si trovano in situazioni parallele. Con il deterioramento delle condizioni di salute del giovane, che riesce ancora a camminare e a parlare, la necessità di un intervento diventa urgente. Rivolti a chi di dovere, i genitori chiedono 3-4 mesi di trattamento per avviare prove terapeutiche che potrebbero, almeno temporaneamente, rallentare la malattia.
La loro richiesta non è solo un grido di aiuto personale, ma un richiamo alla sensibilità della comunità sanitaria affinché si prendano in considerazione le vite di questi giovani, i cui rapporti e sogni vengono stravolti dalla malattia. “Perché in Lombardia non possiamo usufruire di ciò che è stato concesso ad altri?” è il quesito che echeggia nelle parole della famiglia, ribadendo quanto possa essere ingiusta la divisione in base alla residenza.
Il bisogno di un cambiamento
La situazione di Andrea mette in luce la necessità di una revisione dei criteri di approvazione per le terapie contro le malattie rare. La lotta di questa famiglia rappresenta non solo una battaglia individuale ma un movimento collettivo per ottenere l’attenzione necessaria su queste patologie rare, che, a causa della loro rarità, vengono spesso trascurate dai canali burocratici. La speranza rimane un fattore chiave; adesso la sfida è far sì che anche i giovani lombardi possano avere accesso alle terapie di cui hanno urgente bisogno.