Recentemente il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Benevento ha preso una decisione significativa riguardo all’uso di un termine che aveva suscitato polemiche, archiviando la denuncia per diffamazione presentata da esponenti politici contro un giornalista. Il caso coinvolge il termine “peracottaro”, utilizzato da Norberto Vitale in un post sui social. La questione si colloca nel più ampio dibattito sul diritto di cronaca e sulla libertà di espressione, particolarmente nel contesto della critica e della satira nei confronti di figure pubbliche.
La denuncia e i protagonisti coinvolti
La controversia è emersa quando Maurizio Petracca, consigliere regionale del Partito Democratico, e Rizieri Buonopane, presidente della Provincia di Avellino, hanno presentato una denuncia contro il giornalista Norberto Vitale.
Il legale di Vitale, l’avvocato Giuseppe Romano, ha sostenuto l’innocenza del suo assistito, portando il caso davanti al Gip. Il ricorso era fondato sull’idea che l’uso del termine in questione si inserisse nel più ampio diritto di critica, tipico del dibattito pubblico.
Secondo le dichiarazioni del Gip Loredana Camerlengo, il termine “peracottaro” evocava immagini non edificanti, ma non raggiungeva il livello di offesa necessario per configurare un reato di diffamazione. Questo aspetto ha fatto emergere il tema della soglia di tolleranza nelle espressioni critiche rivolte a politici e figure pubbliche.
L’analisi del Gip sulla diffusione delle espressioni critiche
Il Gip ha chiarito che affinché un’espressione possa considerarsi diffamatoria, deve risultare manifestamente lesiva per la reputazione del soggetto interessato. “Non è sufficiente che le parole usate siano offensive; è necessario che ci sia l’intenzione di ledere la reputazione,” ha evidenziato il magistrato. Questo spostamento di prospettiva permette di comprendere la linea sottile tra diritto di cronaca, satira e diffamazione.
Il Gip ha anche richiamato una sentenza della Corte di Cassazione che conferma la validità di usare frasi incisive e magari provocatorie, purché non ci sia un attacco ingiustificato e gratuito alla sfera privata delle persone coinvolte. L’idea è che, soprattutto in ambito politico, le figure pubbliche sono soggette a una maggiore critica, e quindi una certa rudezza nelle espressioni può essere tollerata nel contesto del dibattito pubblico.
Le implicazioni per il diritto di cronaca
La decisione del Gip di archiviare il caso ha delle implicazioni significative per il diritto di cronaca in Italia. Permette di gettare luce sulla libertà di espressione dei giornalisti e sulla loro capacità di commentare e criticare le azioni di chi è investito di pubbliche responsabilità. Questo diventa ancora più rilevante in tempi in cui il ruolo dei media è fondamentale per la trasparenza e la responsabilità politica.
La questione dell’uso di linguaggi forti nel giornalismo politico non è nuova, ma trova nuova vigore in questa sentenza. Essa torna a porre l’accento su quanto le espressioni impiegate dai giornalisti debbano fungere da antenna per il dibattito pubblico, piuttosto che da strumenti di attacco personale. Il bilanciamento tra critica accesa e rispetto per le persone è un tema che continuerà a essere centrale nel panorama italiano.
Con questa archiviazione, il caso “peracottaro” si inserisce in un contesto più ampio, in cui la libertà di espressione e il diritto di critica non possono essere intaccati da possibili ripercussioni legali, offrendo ai giornalisti la certezza di poter operare nel rispetto delle norme senza paura di ritorsioni.
Ultimo aggiornamento il 9 Gennaio 2025 da Sara Gatti