L’arresto dell’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Roa Duterte, ha scosso il panorama politico internazionale. Fatto avvenuto ieri a Manila, questo evento segna un’importante fase della giustizia internazionale, in riferimento a accuse di omicidio e altre violazioni di diritti umani. Le accuse mosse contro Duterte si inseriscono in un contesto dove la Corte penale internazionale ha deciso di intervenire, sollevando interrogativi pesanti sul passato recente delle Filippine e sull’efficacia del sistema giuridico locale.
Mandato d’arresto della Corte penale internazionale
Il 10 febbraio 2025, l’Ufficio del Procuratore della Cpi ha formalmente richiesto un mandato d’arresto per Duterte. Questo provvedimento, che rientra nella giurisdizione della Corte, si basa su gravi accuse di crimini contro l’umanità, riprendendo in particolare i temi dell’omicidio, della tortura e dello stupro. Dopo un’attenta valutazione, la Camera giudicante ha trovato elementi solidi per sostenere la responsabilità di Duterte come co-autore indiretto di questi reati. Le presunte azioni criminali si sarebbero verificate tra il primo novembre 2011 e il 16 marzo 2019, quando Duterte era attivamente coinvolto nelle dinamiche di sicurezza pubblica.
Secondo l’analisi della Camera, ci sono state evidenze di un attacco mirato contro una popolazione civile; questo giustifica ulteriormente il coinvolgimento di Duterte, il quale ha guidato la Davao Death Squad , una milizia accusata di soprusi e omicidi extragiudiziali. L’implicazione di Duterte in questo contesto non è casuale: la Camera ha notato che l’approccio violento e sistematico nei confronti dei presunti criminali ha portato alla morte di migliaia di individui. Il mandato evidenzia che l’attacco si è protratto nel tempo, suggerendo una strategia deliberata e ben pianificata.
Le accuse di Duterte e la sua difesa
Dopo l’arresto, Duterte non ha esitato a dichiararsi “responsabile” delle azioni intraprese durante il suo mandato, soprattutto nella lotta contro il traffico di droga. In un video postato sui social, l’ex presidente ha affermato di aver sempre guidato le forze di polizia e l’esercito, promettendo di “proteggere i suoi uomini durante l’esecuzione di operazioni contro il crimine”. Le sue parole suscitano stupore e riflessione: un leader che si assume la responsabilità delle azioni brutali ripetutamente condannate dalla comunità internazionale.
Duterte ha reso noto di aver orchestrato una guerra contro il narcotraffico, giustificando i metodi adottati con l’intento di garantire sicurezza e ordine. Le dichiarazioni fatte dal leader filippino sollecitano interrogativi sulla linea tra giustizia e violenza, ponendo il problema del rispetto dei diritti umani nel contesto di operazioni di polizia che hanno finito per colpire una larga fetta della popolazione, in particolare nelle aree più vulnerabili.
La Corte penale internazionale dovrà ora predisporre un’udienza per la comparizione iniziale di Duterte, un momento significativo per la giustizia e per le vittime dei presunti crimini avvenuti durante il suo comando. Sarà interessante osservare come la comunità internazionale reagirà a questo processo e se il collocamento di Duterte nella storia dei leader politici perseguiti per crimini contro l’umanità influenzerà i futuri sviluppi nelle Filippine.