La corte d’appello di Torino ha emesso una sentenza di assoluzione per due genitori che vivevano in un campo rom con le loro due figlie, ribaltando così la condanna di primo grado a due anni e sei mesi di carcere. La decisione della corte, resa pubblica dopo l’anticipazione del Corriere della Sera e il successivo articolo su Il Messaggero, si basa su diverse motivazioni che hanno guidato il verdetto di assoluzione.
Contesto familiare e degrado
Uno degli elementi chiave che ha portato all’assoluzione è il contesto di degrado in cui la famiglia viveva, come evidenziato anche dalla testimonianza di un neuropsichiatra infantile. Secondo il professionista, la violenza presente all’interno del nucleo familiare sembrava essere accettata come una normalità, considerando il contesto di vita in un campo rom dove la violenza era un elemento comune.
Considerazioni della corte d’appello
Le motivazioni della corte d’appello evidenziano che le condizioni particolari in cui versava la famiglia generavano dubbi sulla consapevolezza e la volontà dei genitori di infliggere maltrattamenti alle figlie. La presenza di un’unica figura genitoriale attiva, la madre spesso vittima di violenze da parte del marito, e la gestione di un elevato numero di figli molto giovani rendevano più complesse le dinamiche educative e di disciplina all’interno della famiglia.
Strumenti di disciplina e ruolo genitoriale
La corte ha inoltre rilevato che i genitori, nonostante il ricorso a percosse come “unico strumento disponibile” per mantenere l’ordine, assumevano anche un ruolo affettuoso e amorevole nei confronti delle figlie. Questa dualità di comportamenti ha portato a dubbi sulla reale volontà dei genitori di sottoporre le figlie a vessazioni e sofferenze morali.
In conclusione, la sentenza di assoluzione si basa sulla complessità del contesto familiare e sull’interpretazione dei comportamenti dei genitori rispetto alle loro figlie, sottolineando la delicata bilancia tra disciplina e affetto all’interno di una realtà segnata da difficoltà e degrado.
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