La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha emesso una sentenza cruciale, assolvendo gli imputati Vincenzino Fruci, Giuseppe Fruci e Francesco Michienzi, dall’accusa di omicidio dell’avvocato Torquato Ciriaco. Questo verdetto segna un importante capitolo in una vicenda giudiziaria complessa e lunga, che ha tenuto impegnati giudici e avvocati per molti anni. L’assoluzione arriva dopo un percorso giuridico controverso e una serie di pronunciamenti che hanno coinvolto anche la Corte di Cassazione.
La vicenda giudiziaria
L’iter legale, iniziato con il primo processo, ha visto gli imputati essere assolti nel primo grado. Tuttavia, nel secondo appello, la sentenza è stata ribaltata, portando a condanne significative: 30 anni per i fratelli Fruci e 7 anni e 4 mesi per Michienzi. Quest’ultimo, collaboratore di giustizia, aveva fornito elementi chiave per le indagini. I legali della difesa hanno successivamente fatto ricorso in Cassazione, e nel dicembre 2022 la Suprema Corte ha annullato la condanna, ordinando un nuovo dibattimento. Dopo un lungo processo, la Corte d’Assise d’Appello ha finalmente deciso di assolvere gli imputati, stabilendo che non hanno commesso il reato.
Parallelamente, è diventata definitiva l’assoluzione di Tommaso Anello, presunto mandante del delitto e boss della cosca di Filadelfia. Le difese, rappresentate da un team di avvocati, tra cui Sergio Rotundo e Luca Cianferoni, hanno accolto con soddisfazione l’esito del processo, mentre le figlie della vittima esprimono indignazione e rifiuto nei confronti della giustizia, considerata inadeguata in questo caso.
La narrazione dell’omicidio
L’omicidio di Torquato Ciriaco avvenne il primo marzo del 2002. L’avvocato fu assassinato a bordo della propria auto in un agguato avvenuto nella località di Calderaro. Mentre guidava, una vettura lo affiancò e venne centrato da colpi di arma da fuoco. Secondo quanto ricostruito durante il processo, il delitto sarebbe stato orchestrato dalla cosca Anello-Fruci, con il fine di bloccare l’acquisto di una cava da parte di persone affini alla consorteria criminale.
Questo omicidio ha avuto un forte impatto non solo sulla famiglia della vittima ma anche sulla comunità legale e sull’opinione pubblica, evidenziando le infiltrazioni mafiose in settori chiave come l’edilizia e il diritto. La costruzione della narrazione da parte degli inquirenti si basa su dichiarazioni di collaboratori, ma non ha mai trovato una conclusione chiara rispetto all’identità esatta degli esecutori materialmente coinvolti nell’omicidio.
La reazione della famiglia Ciriaco
La sentenza dell’appello bis ha suscitato forti reazioni, in particolare quella delle figlie di Torquato Ciriaco: Teresa, Francesca, Laura, Eugenia, Maria Chiara e Giulia. In un comunicato stampa, hanno manifestato la loro profonda indignazione, ricordando l’integrità professionale di loro padre e chiedendo giustizia. Le sorelle Ciriaco, firmandosi “sempre indignate”, esprimono il loro dolore e richiedono di sapere chi ha realmente assassinato il loro genitore.
Secondo le loro parole, il delitto non è stato compiuto da un “uomo invisibile”, ma da fattori criminosi ben noti e identificabili. Con un tono straziante, affermano che eserciti di giustizia e dello Stato sono venuti meno, accusando le istituzioni di non riuscire a garantire la verità su un caso che dura ormai da oltre vent’anni. La loro richiesta di trasparenza e responsabilità rappresenta una richiesta di giustizia sempre più urgente in un contesto dove i crimini restano spesso impuniti.
Un capitolo giuridico si chiude, ma rimane aperto il grande interrogativo su come una società possa affrontare simili tragedie, in cerca di verità e giustizia.