La recente sentenza di assoluzione per Orazio Ragusa, ex allenatore di nuoto con l’accusa di violenza sessuale, ha suscitato forti reazioni all’interno della comunità sportiva e tra i legali della parte lesa. Le motivazioni del giudice hanno messo in discussione la credibilità della vittima, scatenando un dibattito intenso su come le situazioni di abusi vengano trattate in ambito legale. La giovane, oggi diciassettenne, aveva denunciato l’accaduto riportato per la prima volta il 10 agosto di tre anni fa.
Le motivazioni della sentenza
Le argomentazioni presentate dal giudice nel provvedimento di assoluzione di Ragusa sono state fra le più discutibili. La sentenza ha affermato che il racconto della giovane nuotatrice, che all’epoca del presunto episodio aveva solo 14 anni, possa essere in parte il frutto di un desiderio di apparire e attirare l’attenzione. Questa valutazione ha colto di sorpresa i legali della famiglia della vittima. L’avvocato Stefano Comand ha commentato la sentenza come «scioccante» per i genitori della ragazza, evidenziando come la motivazione metta sotto accusa la giovane piuttosto che l’imputato.
I fatti in questione riguardano un incontro avvenuto in una stanza d’albergo, dove la ragazza denunciò di essere stata molestata da Ragusa. Nonostante la giovane avesse confidato a una psicologa i dettagli dell’accaduto, il giudice ha ritenuto che non ci fossero prove sufficienti per accertare la responsabilità penale dell’allenatore. Il gup ha infatti descritto l’indagine come «farraginosa e claudicante», il che ha spinto a dichiarare l’imputato non colpevole.
La valutazione della testimonianza della vittima
Il giudice ha sollevato ulteriori dubbi sulla testimonianza di Carlotta, sottolineando che le informazioni fornite da testimoni come un’amica e la vice allenatrice suggeriscono una personalità incline a ingigantire e cercare attenzione. Secondo le motivazioni, non sorprende che il racconto si concentri su dettagli relativi a rapporti sessuali, anche perché la giovane aveva già esperienze di questo tipo. Questo elemento è stato interpretato come un indice di non attendibilità .
Non solo, il gup ha messo in luce la reazione della madre della giovane, che, apprendendo della denuncia molto tempo dopo, ha minimizzato il fatto. Frasi come «si vede che ha un debole per te» sono state interpretate come segnali di un mancato sostegno da parte della figura materna, potenzialmente cruciale nel processo di elaborazione di una simile esperienza traumatica. Nonostante ciò, il percorso legale non ha trovato alcuna testimonianza che avvalorasse le parole della giovane, quindi il giudice ha dovuto concludere che non ci sono elementi sufficienti per fondare un giudizio di colpevolezza.
La reazione della comunità e le prospettive future
La reazione alla sentenza non è stata univoca. Tra il pubblico e nei media, molti hanno espresso preoccupazione per le implicazioni che una decisione di questo tipo comporta nei confronti delle vittime di abusi. L’argomento è tornato al centro del dibattito, in particolare per il modo in cui le testimonianze delle vittime siano frequentemente messe in discussione, spingendo le future potenziali vittime a desistere dalla denuncia.
D’altra parte, la Procura sta valutando se presentare appello contro la sentenza. Questo ulteriore passo potrebbe riaprire il caso e offrire spazi per nuove considerazioni giuridiche nella valutazione di tale fattispecie. La questione non è solo legale, ma tocca anche aspetti sociali e culturali, spesso trascurati, riguardo alla percezione e alla gestione delle denunce di abusi nel contesto sportivo e non solo. È evidente che il caso di Orazio Ragusa continuerà a sollevare interrogativi e confronti nel panorama della giustizia italiana.
Ultimo aggiornamento il 15 Dicembre 2024 da Elisabetta Cina