Il fenomeno del bullismo, sia nei suoi aspetti tradizionali che in quelli digitali, sta riscuotendo crescente attenzione in Italia. L’emergere di comportamenti violenti online, come le offese e la diffusione di materiale inappropriato, colpisce in modo particolare le ragazze. Nonostante la necessità di educazione affettiva nelle scuole per prevenire atti che possono sfociare in reati, l’Italia rimane uno dei pochi Paesi europei senza una regolamentazione specifica in materia di educazione sessuo-affettiva. Questo vuoto normativo offre margini di discrezionalità alle scuole, con risultati molto variabili a seconda della zona e delle risorse disponibili.
La mancanza di regolamentazione sull’educazione affettiva
La questione del bullismo e della violenza di genere nelle scuole è di rilevante importanza. Come riportato da un’indagine della piattaforma Elisa, queste problematiche stanno vivendo un lieve incremento, specialmente nei contesti scolastici. Paolo Russo, presidente dell’associazione Contrajus, commenta che “il bullismo e la violenza contro le donne si intrecciano, rivelando una scarsa tolleranza per la diversità.” La donna è spesso percepita come un soggetto vulnerabile, quindi un target facile. Attualmente, l’istruzione civica, introdotta nel 2020, include temi di prevenzione della violenza di genere e educazione a relazioni corrette. Tuttavia, i programmi variano notevolmente da un istituto all’altro, lasciando spazi alla discrezionalità e all’impegno personale degli insegnanti.
Non esiste una legge nazionale uniforme che definisca come dovrebbe essere strutturata l’educazione affettiva nelle scuole italiane. Negli ultimi anni, alcune scuole hanno cercato di adottare pratiche innovative, ma la mancanza di un quadro normativo coerente ha portato a risultati disomogenei. Se da un lato ci sono istituti attivi nel sensibilizzare gli studenti su temi come le discriminazioni e le dinamiche relazionali, dall’altra ci sono strutture che non prevedono alcun tipo di formazione specifica. Questo scenario fa sì che la responsabilità ricada pesantemente su presidi e docenti, che possono decidere autonomamente se e come affrontare questi argomenti.
Alleanza tra scuola e famiglia per combattere gli stereotipi
Un esempio positivo di iniziativa scolastica è rappresentato dall’I.I.S. Copernico-Carpeggiani, situato nella provincia di Ferrara. Dal 2019, questo istituto ha integrato nel programma scolastico l’insegnamento sul contrasto alla violenza di genere, utilizzando circa un terzo delle ore dedicate all’educazione civica per affrontare temi come la comunicazione non violenta e il riconoscimento dei segnali di abuso. Francesco Borciani, dirigente dell’istituto, sottolinea l’importanza di far riflettere gli studenti sui loro comportamenti quotidiani. Tuttavia, a distanza di cinque anni dalla sua attuazione, il progetto è in fase di revisione poiché i risultati ottenuti sono stati al di sotto delle aspettative.
La rilevanza di coinvolgere le famiglie in questo percorso educativo è cruciale per il successo delle iniziative. Troppo spesso, la cultura popolare e i mass media perpetuano stereotipi nocivi che, a loro volta, rinforzano le norme dannose. Gli studenti, in questo contesto, hanno partecipato attivamente nella ristrutturazione del programma, compilando un questionario che ha raccolto le loro opinioni e suggerimenti. Nonostante questo approccio, il dirigente dell’istituto si dichiara preoccupato per la mancanza di crescita nella consapevolezza dei ragazzi riguardo a questi temi, evidenziando la necessità di un impegno maggiore da parte della comunità scolastica e delle famiglie.
Iniziative territoriali e distribuzione disomogenea
Nel 2022, un rapporto di EduForIST, che ha monitorato le iniziative educative in Italia dal 2016 al 2020, ha rivelato una spiazzante disparità regionale nelle attività di alfabetizzazione emotiva. Tra le 232 iniziative esaminate, il 53% si è concentrato nelle regioni del Nord, dimostrando che gli istituti delle aree centro-settentrionali e delle grandi città sono significativamente più attivi. Al contrario, solo il 17% delle attività ha coinvolto i giovani del Sud. È significativo anche il fatto che soltanto 13 progetti abbiano mirato a informare i bambini delle scuole primarie, nonostante le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indichino il diritto dei bambini a ricevere informazioni appropriate in materia di sessualità già dalla più tenera età.
Purtroppo, in molte scuole italiane, l’educazione sessuale resta un argomento tabù. Mario Puiatti, presidente di Aied, ricorda che nel corso degli anni diverse iniziative legislative hanno cercato di introdurre formalmente la materia nei curricoli scolastici, ma senza mai ottenere risultati concreti. Questo contesto evidenzia la necessità urgente di un cambio di passo e di un approccio coordinato tra le istituzioni, le scuole e le famiglie per affrontare il fenomeno del bullismo e della violenza di genere in maniera efficace e strutturata.
Ultimo aggiornamento il 25 Novembre 2024 da Laura Rossi