Un’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli ha svelato un caso di corruzione che coinvolge un luogotenente dei carabinieri, arrestato insieme ad altre tre persone legate al clan della 167 di Arzano. Questo episodio mette in luce come le forze dell’ordine possano essere infiltrate dalla criminalità organizzata, aprendo a una serie di interrogativi sulla sicurezza e sull’integrità delle istituzioni in un contesto tanto delicato.
Il contesto dell’inchiesta
Le indagini degli inquirenti sono iniziate a seguito di segnalazioni relative a comportamenti sospetti all’interno del corpo militare. Il carabiniere in questione, invece di proteggere la legge, ha scelto di collaborare con elementi di spicco della camorra locale. Questo caso dimostra come la corruzione possa minare la fiducia nelle forze dell’ordine e compromettere seriamente le indagini contro organizzazioni criminali radicate nel territorio.
L’indagine ha rivelato che il luogotenente ha ricevuto finanziamenti mensili, stimati attorno ai mille euro, insieme a somme straordinarie che oscillano tra i duemila e i tremila euro. Questi pagamenti non erano semplicemente una forma di sostegno economico, ma una strategia deliberata per ottenere informazioni riservate su indagini in corso, come l’imminenza di notifiche di misure cautelari. Le informazioni fornite dal carabiniere hanno chiaramente agevolato la fuga di indagati, portando a una serie di problematiche sia a livello investigativo che giuridico.
Modalità di corruzione e vantaggi per il clan
Oltre a ricevere denaro, il luogotenente ha usufruito di personali vantaggi, come interventi gratuiti di manutenzione e carrozzeria per i veicoli suoi e dei familiari. Questi benefit sono stati una forma di compenso per la sua disponibilità a violare i suoi doveri istituzionali. Le indagini hanno anche rivelato l’esistenza di falsi documenti, incluse relazioni di buona condotta per un boss sotto sorveglianza speciale. In questo modo, il carabiniere si è dimostrato non solo complice, ma attivo nel facilitare le operazioni illecite del clan.
Inoltre, è emerso che il sottufficiale avrebbe avvisato i membri del clan riguardo alla posizione delle telecamere istallate dalla polizia giudiziaria. Queste informazioni sono state determinanti per eludere i controlli e continuare le operazioni illecite in un contesto dove la sorveglianza stava diventando sempre più intensa. Si tratta di un comportamento che non solo ha compromesso singole indagini, ma ha anche ostacolato il lavoro di lotta contro la criminalità organizzata.
Provvedimenti e arresti
Grazie all’intervento del giudice delle indagini preliminari, Carla Sarno, è stata emessa una misura cautelare in carcere per quattro degli sei indagati. Oltre al carabiniere, sono stati arrestati anche tre individui considerati figure chiave all’interno del clan della 167. Tra di loro ci sono anche collaboratori di giustizia, il che suggerisce che altri membri della camorra possano aver tessuto rapporti con il luogotenente.
Le azioni illecite risalgono a un periodo compreso tra il 2015 e il 2023, a testimonianza di come la corruzione possa radicarsi nel tempo e continuare a fiorire se non opportunamente monitorata. Gli indagati affrontano gravi accuse, tra cui corruzione continuata in concorso, aggravata anche dalla circostanza di avere avvantaggiato un’organizzazione malavitosa. Questo scenario mette in evidenza l’importanza di mantenere la vigilanza nei confronti di comportamenti illeciti all’interno delle istituzioni, per garantire un’efficace lotta contro la criminalità .