Un lutto inconsolabile affligge Ciro, un elettricista napoletano di cinquant’anni. Ogni notte, insieme al figlio tredicenne Luigi, percorre le strade in cerca dell’auto rossa che ha investito e ucciso sua moglie. Non riesce a trovare pace né con il crack, che fuma sulla terrazza condominiale, né con il passare del tempo. La sua vita è segnata da un’ossessione inarrestabile per il passato e da un dolore che non sembra voler attenuarsi. L’unico conforto per lui è una pistola, custodita nel cassetto dell’auto, simbolo della sua voglia di vendetta o della ricerca di una via d’uscita dalla sua angosciante situazione.
La trama di ‘Nottefonda’: un viaggio nel dolore
‘Nottefonda’, il film di Giuseppe Miale Di Mauro, approda nelle sale il 8 maggio, distribuito da Luce Cinecittà. La pellicola, ispirata al romanzo ‘La strada degli Americani’ dello stesso regista, ci immerge in un contesto cupo e privo di speranza. Al centro della storia c’è Ciro, la cui esistenza è caratterizzata dalla solitudine e dalla angustia. A sostenerlo, fra le poche persone rimaste, ci sono il figlio Luigi, qualche amico e la madre, che lo attende ogni sera.
L’uomo vive un’esistenza di ricerca, letteralmente notte e giorno, cercando di scoprire chi sia l’autista responsabile della morte della moglie. Questo continuo girovagare diventa simbolo della sua incapacità di elaborare il lutto. Ciro si aggrappa a questa missione disperata, illudendosi che troverà una forma di giustizia o almeno un segno di riscatto. Ma la realtà degli eventi è ben diversa, e la sua condizione non migliora.
La rappresentazione del personaggio di Ciro
Francesco Di Leva, che interpreta Ciro, offre una potente interpretazione del dolore che affligge il protagonista. «Ciro è un uomo che sprofonda in un abisso», commenta l’attore. Questo personaggio sperimenta la perdita con grande intensità, un malessere che lo fa retrocedere in una vita di isolamento. Lo spettatore può percepire la sua lotta contro il conflitto interiore, inclusi gli sforzi per risalire da una spirale di autodistruzione che ha preso piede dopo la morte della moglie in un incidente.
Ciro non è un tossicodipendente nel senso classico, ma utilizza il crack come un modo per affrontare il proprio dolore. L’abuso diventa un meccanismo di fuga, mentre l’impossibilità di confrontarsi con gli altri lo spinge a evitare ogni forma di contatto umano. Per lui, il silenzio rappresenta un rifugio, ma anche una gabbia. Attraverso questo approccio, Di Leva cerca di restituire al pubblico la profondità del personaggio, rendendo palpabile la sua fatica e la sua tenerezza. Ciro sembra cercare di afferrare la sofferenza come un ultimo legame d’amore verso la moglie, mentre il resto del mondo continua a procedere.
Un’analisi dei temi di abbandono e giustizia
Il film non si limita a esplorare il lutto di Ciro, ma tocca anche questioni più ampie, come l’abbandono e il desiderio di giustizia. La figura di Ciro diventa un simbolo della lotta interiore di chi ha subito una perdita devastante. Le strade di Napoli non sono solo un palcoscenico per la sua ricerca, ma sono impregnate di un’aura di disperazione e speranza, mostrando la complessità della vita in una città che, nonostante le sue difficoltà, offre solidarietà e calore umano.
La ricerca dell’auto rossa diventa quindi un’allegoria della ricerca di risposte e di verità in un mondo in cui i legami familiari possono spezzarsi in un attimo. Rispecchia anche il desiderio di Ciro di ristabilire un certo ordine nel suo universo sconvolto. La pellicola riesce a connettere il pubblico con le emozioni di uno spettatore che fatica a trovare il proprio posto nel mondo dopo aver subito una delle perdite più tragiche: quella di un coniuge.
Con ‘Nottefonda’, Giuseppe Miale Di Mauro riesce a offrire una narrazione profonda, invitando il pubblico a riflettere sul dolore, sulla ricerca di giustizia e sul significato del perdono, in un viaggio toccante che segna il cuore di ogni spettatore.