Un importante sviluppo giuridico sta per avvenire a Genova, dove la pubblica accusa ha disposto la citazione diretta a giudizio per cinque tecnici dell’Eni. Questi individui sono accusati di essere coinvolti in uno sversamento di idrocarburi nel torrente Varenna, avvenuto nel 2022. Il processo, che coinvolgerà i responsabili della multinazionale, è programmato per iniziare il 24 ottobre prossimo. Le autorità hanno evidenziato gravi lacune nei protocolli di sicurezza, sollevando interrogativi significativi sulle pratiche operative della compagnia.
Le indagini e l’inquinamento colposo
La vicenda giudiziaria trae origine dall’indagine avviata nei confronti dell’Eni dopo l’incidente che ha avuto come risultato il degrado ambientale del torrente Varenna. I primi due indagati erano il responsabile del deposito carburanti e un tecnico della multinazionale, seguiti successivamente da altre tre figure tecniche. L’accusa principale, che è emersa da una dettagliata analisi della situazione, è di inquinamento colposo. La modalità in cui si sarebbero verificati i fatti ha messo in evidenza la mancanza di sistemi di sicurezza funzionali, che avrebbero dovuto prevenire la fuoriuscita di petrolio.
L’inchiesta ha rivelato che, un mese prima dello sversamento, si erano svolti lavori di manutenzione sull’oleodotto. Durante queste operazioni, il condotto era stato svuotato utilizzando azoto, una prassi che avrebbe dovuto garantire la sicurezza del sistema. Tuttavia, i successivi eventi hanno dimostrato che il sistema di sicurezza in atto non ha funzionato, generando un danno ambientale grave e un rischio per la salute pubblica.
Il sequestro dell’oleodotto e le misure di contenimento
Dopo lo sversamento, la magistratura ha immediatamente disposto il sequestro di una parte dell’oleodotto di Multedo, pari a circa 100 metri. Questo provvedimento ha avuto lo scopo di garantire che le indagini potessero procedere senza ostacoli e di evitare ulteriori danni. Dai primi rilevamenti, è emerso che l’oleodotto presentava gravi carenze, in particolare legate al malfunzionamento del sistema di sicurezza. Questo sistema, introdotto in risposta al disastro di Seveso degli anni ’70, avrebbe dovuto intercettare qualsiasi fuoriuscita di petrolio, prevenendo un disastro ambientale.
Le misure di contenimento messe in atto dall’Eni, come l’installazione di panne assorbenti per limitare la diffusione del petrolio nel mare, hanno evidenziato una reazione tempestiva, ma non sufficientemente efficace per evitare l’inquinamento del torrente. La dimensione della fuoriuscita è stata quantificata dalla stessa società in circa quattromila litri, un dato estremamente preoccupante per l’ambiente circostante.
La posizione di Eni e le responsabilità aziendali
Eni, in sede di comunicazione, ha confermato la perdita di idrocarburi, descrivendo l’episodio come avvenuto durante le operazioni preparatorie per lavori di manutenzione straordinaria dell’oleodotto di Genova Pegli. Questo richiamo ai lavori di manutenzione ha sollevato domande su quali misure di sicurezza fossero state implementate durante tali operazioni.
L’azienda ha sottolineato che le procedure di lavoro seguono standard elevati, ma ora è sotto scrutinio per verificare se tali standard siano stati effettivamente rispettati. I rilievi dell’incidente pongono in evidenza non solo le responsabilità individuali dei tecnici coinvolti, ma anche la governance e la cultura della sicurezza all’interno dell’organizzazione.
L’impatto ambientale della fuoriuscita potrebbe essere significativo, e gli sviluppi futuri seguiranno con attenzione sia dai media che dalla comunità locale. La questione solleva interrogativi più ampi sulla protezione dell’ambiente e sulle pratiche delle grandi multinazionali nel gestire i rischi associati alle loro operazioni.