La sentenza che ha scosso Napoli: Alfredo De Feo, il capozona di San Giovanniello, è stato condannato a 14 anni di carcere per associazione mafiosa e riciclaggio. Questo verdetto, emesso recentemente dal tribunale, rappresenta non solo una vittoria per la giustizia ma anche un segnale di attenzione verso le attività illecite del clan Contini, un’organizzazione radicata nella criminalità organizzata napoletana. Accusato di gestire e dirigere le operazioni mafiose nella sua area, De Feo ha visto confermate le richieste della Procura nell’ambito di un processo più ampio che coinvolge diversi esponenti della malavita partenopea.
La condanna di De Feo e complici
Il tribunale non si è limitato a condannare Alfredo De Feo. Insieme a lui, anche altre figure significative sono state dichiarate colpevoli. Si tratta di Gaetano Ammendola, figlio del noto boss Giuseppe Ammendola, e dell’imprenditore Vincenzo Madonna. Questi tre uomini sono stati ritenuti colpevoli di far parte di un’associazione criminale operante nel traffico di stupefacenti, nel racket e nel riciclaggio di denaro. La rete di affari illeciti era ben strutturata, con De Feo che occupava il vertice del gruppo a San Giovanniello e gli altri due che ricoprivano ruoli cruciali nella gestione delle operazioni.
In particolare, Vincenzo Madonna è stato identificato come uno dei principali responsabili del riciclaggio di denaro, grazie a investimenti in attività apparentemente lecite, come bar e autolavaggi. Questo aspetto della criminalità economica mette in luce come i clan mafiosi riescano a infiltrarsi nel tessuto economico sano della città , offrendo un’immagine di legalità che spesso maschera le loro vere intenzioni.
Arresti e sviluppo del caso
Le indagini che hanno portato alla condanna di De Feo e dei suoi complici sono iniziate ben prima degli arresti avvenuti a giugno 2023. In quel blitz, le forze dell’ordine hanno messo in atto operazioni decisive che hanno portato dietro le sbarre diverse personalità di spicco legate al clan Contini. Due dei tre imputati hanno scelto il rito abbreviato, una strategia difensiva comune per cercare di ridurre la pena in cambio di un’ammissione di colpevolezza.
Le accuse erano gravissime: tutti erano coinvolti in attività che andavano dall’associazione mafiosa al narcotraffico, costituendo un segmento importante dell’Alleanza di Secondigliano, un’entità mafiosa che vela la sua potenza tramite collaborazioni tra diversi gruppi, tra cui Mallardo e Licciardi. La lotta delle autorità contro questo sistema criminale continua, e questo processo ha rappresentato solo uno dei tanti passi in avanti verso la sconfitta del clan Contini.
Le altre condanne e il clima di paura
Nel corso dello stesso processo, alcune figure secondarie del clan hanno ricevuto pene di vari anni. Abramo Presutto e Umberto Buonaiuto sono stati condannati a cinque anni di reclusione, mentre Patrizio ed Eduardo Russo hanno ricevuto sei anni ciascuno. Anche Gaetano Attardo ha avuto un anno di pena. Tuttavia, la giuria ha scagionato i figli di Attardo senior, Pasquale e Vincenzo, così come Carmela Sartori, un esito che ha scatenato polemiche e discussioni nel dibattito locale su giustizia e colpevolezza.
Il clima di paura e intimidazione che circonda tali processi è palpabile. La presenza organizzata della mafia nei quartieri di Napoli rende difficile la vita quotidiana per molti cittadini, creando un ambiente permeato da un senso di vulnerabilità . Rispondere a quelle sfide richiede un impegno costante da parte delle autorità e una vigilanza attiva da parte della comunità .
La lotta contro la mafia è una battaglia ardua, ma la recente condanna di De Feo e dei suoi complici costituisce un’importante tappa verso una città e un futuro migliori, lontani dall’ombra delle organizzazioni criminali. La giustizia, in questo senso, continua a pelare i propri frutti, ma il cammino da percorrere resta lungo e pieno di insidie.
Ultimo aggiornamento il 17 Dicembre 2024 da Marco Mintillo