Una tragica vicenda ha colpito la provincia di Trento, dove una donna di 57 anni è stata recentemente condannata dalla Corte d’Assise di Monza. La donna, colpevole di abbandono di persona incapace, ha ricevuto una pena di tre anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. La condanna è arrivata dopo la morte della madre, un’anziana di 80 anni affetta da Alzheimer, avvenuta nel 2022 a Desio, in provincia di Monza.
La vicenda della madre malata e la scoperta tragica
La madre dell’imputata viveva insieme al marito, anch’esso affetto da malattie croniche. Nonostante le difficoltà, la gestione della situazione familiare sarebbe stata lasciata abbastanza inadeguata. L’assistenza fornita all’anziana era sporadica, limitata all’intervento di una badante che si occupava di lei in determinati momenti della giornata, mentre il supporto pubblico, offerto da un’assistente comunale, risultava insufficiente. La mattina dell’8 febbraio 2022, la badante, giunta per il suo turno, ha trovato l’anziana in condizioni precarie: confusa e molto assetata. Nonostante l’intervento immediato, l’anziana è deceduta poco dopo, a seguito di complicazioni polmonari.
L’autopsia ha rivelato che la causa del decesso era stata l’ingestione di sapone liquido, confuso dall’anziana con una bevanda. Questo episodio ha sollevato interrogativi sulla qualità delle cure e sull’attenzione prestata alla donna, evidenziando delle lacune nell’assistenza domiciliare fornita alla coppia.
La posizione del fratello e la scelta del rito abbreviato
Il processo ha coinvolto anche il fratello della donna, un uomo residente a Lissone, che ha scelto di affrontare la situazione legale tramite un rito abbreviato. Questo approccio legale gli ha garantito una pena potenzialmente più leggera, in considerazione di una responsabilità minore rispetto alla sorella. La motivazione della sua scelta si basa sulla volontà di ridurre i tempi del giudizio e ottenere un esito più favorevole.
Durante il processo, l’accusa ha presentato un quadro accusatorio dettagliato, evidenziando l’incapacità della coppia di ricevere il supporto necessario. Sebbene fossero disponibili risorse, come una badante e una assistente comunale, la loro disponibilità non garantiva la continuità delle cure per l’anziana malata. La richiesta dell’accusa per la sorella era di una condanna di cinque mesi, ma la Corte ha optato per una pena più severa, riconoscendo la gravità della negligenza dimostrata.
La responsabilità dell’assistenza e il caso della badante
Nel corso del processo, la Corte non ha riconosciuto responsabilità né alla badante né all’assistente comunale che fornivano supporto all’anziana. Questo solleva interrogativi più ampi sulla responsabilità di chi lavora nel settore dell’assistenza domiciliare. La malattia di Alzheimer comporta spesso situazioni di grande vulnerabilità, e il sistema di assistenza potrebbe necessitare di una revisione per garantire che eventi come quello avvenuto non si ripetano.
Il caso ha messo in evidenza come la mancanza di continuità nell’assistenza possa portare a conseguenze drammatiche, ponendo la salute e la sicurezza degli anziani in una posizione vulnerabile. La Corte d’Assise ha segnato un punto cruciale nella discussione su come migliorare la protezione delle persone incapaci e la necessità di garantire un’assistenza adeguata e continuativa. Le famiglie che si trovano a gestire la cura di parenti anziani meritano un supporto più efficace, sia da parte delle istituzioni che del settore privato.