Le recenti tensioni tra Israele e Hezbollah hanno portato a una situazione drammatica nel sud del Libano, in particolare a Tiro, dove i bombardamenti israeliani e i lanci di razzi da parte di Hezbollah stanno creando un clima di terrore e confusione. Le testimonianze dei membri della Custodia di Terra Santa, come il frate francescano padre Toufic Bou Merhi, offrono uno sguardo inquietante sulla realtà vissuta dalle popolazioni civili colpite da questa escalation di violenza. Le sue parole risuonano forti e chiare, portando al pubblico il grido di aiuto di un’intera comunità.
La testimonianza di padre toufic bou merhi da tiro
Padre Toufic Bou Merhi, parroco latino di Tiro, racconta la “voce” dei libanesi, descrivendo una città che sta subendo colpi incessanti. Mentre lui stesso è costretto a interrompere le sue parole a causa dei bombardamenti, esprime il desiderio di condividere la sofferenza dei suoi concittadini con il mondo. «Basta guerra, basta ammazzarsi a vicenda da entrambe le parti», afferma con determinazione. La sua esperienza vissuta durante conflitti passati, come la guerra del ’75 e i conflitti del 2000 e 2006, non lo prepara a ciò che sta accadendo ora, considerato addirittura oltre ogni limite.
Padre Toufic dipinge un quadro desolante, in cui le strade che conducono verso Beirut sono affollate di persone in fuga, bloccate per ore in attesa di trovare un posto sicuro. La paura serpeggia tra la popolazione, già provata dalla situazione economica e politica del Libano. La necessità di una via di uscita è urgente, ma la mancanza di alternative lascia le persone in un limbo di ansia e incertezza. «Povera gente!», ripete con rassegnazione, mentre assiste a una fuga disperata verso la capitale, una città che molti sperano possa offrire temporaneo sollievo dalla brutalità del conflitto.
La comunità cristiana a tiro: resistenza e solidarietà
Nonostante la drammaticità della situazione, la comunità cristiana locale cerca di resistere e sostenersi a vicenda. Coloro che hanno la possibilità di lasciare Tiro si dirigono verso Beirut, ma molti altri scelgono di rimanere. Padre Toufic riferisce che, nella chiesa di Sant’Antonio da Padova, situata in una zona relativamente più sicura, le famiglie si radunano per trovare un riparo. «Le persone vengono da noi chiedendo di restare», chiarisce. L’apertura del convento ha permesso a centinaia di persone, tra cui bambini e anziani, di trovare rifugio, e i frati stanno facendo del loro meglio per fornire assistenza a chi arriva.
Le famiglie che si rifugiano nel convento necessitano di beni di prima necessità, come cibo, vestiti, acqua ed elettricità. L’intero gruppo si unisce nei momenti di crisi, creando un legame di comunità che offre conforto in un periodo di grande paura. «Ognuno di noi porta qualcosa: cuscini, coperte, cibo», afferma un frate, evidenziando lo spirito di solidarietà che prevale anche in mezzo al caos. La loro presenza è un faro di speranza, con un appello a continuare a pregare affinché la pace arrivi un giorno nella regione.
Il panorama del conflitto dall’altra parte del confine
Nel frattempo, anche dalla parte israeliana, la situazione è critica. Dalla storica località di Cafarnao, padre Fabio Inacio raccoglie testimonianze di bombardamenti e attacchi aerei che stanno colpendo la zona. Riferisce di missili e droni avvistati nel cielo sopra il Lago di Galilea, illustrando come la paura sia palpabile tra la popolazione. «Ogni giorno assistiamo a un aumento delle tensioni», afferma, alludendo alla crescente minaccia rappresentata dalle attività militari.
Il corpo di pace UNIFIL continua a monitorare la situazione, mentre i civili di entrambe le nazioni chiedono la fine delle ostilità. La preoccupazione cresce non solo per la sicurezza immediata, ma anche per le conseguenze a lungo termine che questo conflitto avrà sulle comunità, già vulnerabili a causa delle tensioni politiche e sociali. Il rischio di un’escalation ulteriore è motivo di ansia per molti.
La situazione, apparentemente senza soluzione, espone la necessità urgente di un dialogo che possa riportare la speranza di una normalità in una regione sfinita da anni di conflitti. Mentre le voci di chi vive in prima persona questa realtà continuano a emergere, è fondamentale mantenere l’attenzione sulla crisi umanitaria in corso, affinché non cada nel dimenticatoio.