Dal Volga a San Pietroburgo il viaggio nella Russia profonda raccontato da Marzio Mian in Volga blues

Dal Volga a San Pietroburgo il viaggio nella Russia profonda raccontato da Marzio Mian in Volga blues

Il volume “Volga blues” di Marzio Mian e Alessandro Cosmelli racconta un viaggio lungo il Volga, esplorando la storia, le tradizioni e le contraddizioni della Russia oltre Mosca e San Pietroburgo.
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"Volga blues" di Marzio Mian e Alessandro Cosmelli è un viaggio fotografico e narrativo lungo il fiume Volga che esplora la complessa identità culturale, storica e sociale della Russia oltre le grandi città, tra tradizioni, contraddizioni e la profonda anima del popolo russo. - Gaeta.it

Il volume “Volga blues” di Marzio Mian, con le fotografie di Alessandro Cosmelli, propone un viaggio lungo il fiume più lungo d’Europa, il Volga, tracciando un percorso tra luoghi, storie e vicende che raccontano la complessità della Russia al di fuori delle grandi città come Mosca e San Pietroburgo. Partendo da antiche radici storiche e figure chiave come la principessa Olga, l’opera affronta la natura politica, sociale e culturale di un territorio dove si mescolano miti, soprusi, religiosità e una profonda lotta interiore. La narrazione si snoda attraverso paesaggi vasti e popolazioni variegate, emergendo come un affresco insolito e profondo della Russia contemporanea.

Il ruolo storico e simbolico della principessa olga nella formazione della russia

La prima tappa del viaggio affonda le radici nell’VIII secolo, riconoscendo nella figura di sant’Olga un riferimento imprescindibile per comprendere la nascita del popolo russo. Olga, principessa variaga della stirpe rjurikide, portò avanti una politica di potere implacabile, segnata da episodi sanguinosi, come la distruzione dei drevljani, una delle tribù slave. Questo carattere autoritario e violento sarà un filo rosso che attraverserà la storia russa, passando per personaggi come Ivan il Terribile fino a Lenin o persino Putin. La principessa fu canonizzata dopo 600 anni dalla morte, testimonianza di una figura controversa ma simbolica per la costruzione culturale e politica del Paese.

Nel contesto territoriale, Olga rappresenta un punto di partenza ideale per raccontare una Russia meno conosciuta, lontana dalle grandi metropoli e vicina a un’identità che nasce da conflitti feroci e da una tenace sopravvivenza. Quest’eredità si legge tra i paesaggi, gli abitanti lungo il Volga, e nelle tradizioni che ancora sopravvivono in quelle zone, che continuano a riflettere il peso di quel passato fatto di violenze e di una capacità di resistere. La sua storia apre nuove prospettive sulla comprensione della cultura russa, svelandone aspetti meno esposti nei racconti convenzionali.

La geografia del volga e l’anima russa descritta nel viaggio di marzio mian

Il percorso tracciato da Mian e Cosmelli si snoda su 3.500 chilometri, da San Pietroburgo fino ad Astrakhan, attraversando un paesaggio vasto e mutevole dove si respira l’anima russa in tutte le sue sfaccettature. I due viaggiatori si muovono a bordo di un van, guidato da Vlad, un personaggio che incarna le contraddizioni locali: alla guida senza la patente adeguata, quasi sempre ubriaco, con al fianco Katja, una cantante mancata che sospetta di dover denunciare due clienti italiani ai servizi segreti. Questa atmosfera di tensione e diffidenza accompagna il racconto, sottolineando come la Russia fuori dalle grandi città sia popolata da figure tormentate e sospese.

La natura imponente domina la scena: vaste foreste di taiga, steppe ghiacciate e condizioni climatiche dure segnano la vita di chi abita lungo il fiume. L’impatto del potere centrale è percepito come distante, quasi inutile, lasciando che sopravvivano tradizioni pre-cristiane accanto a pratiche religiose ufficiali. La propaganda politica convive con la paura e la nostalgia di regimi passati: tra i giovani, non è raro vedere magliette con ritratti di Stalin, segno di un sentimento ambivalente tra ribellione e desiderio di ordine forte.

In questi luoghi, dove le voci del potere arrivano affievolite, sorge un universo di identità diverse, che si intersecano con storie di sofferenza e resistenza. Gruppi etnici come calmucchi, tatari, baschiri o tedeschi del Volga contribuiscono a formare un mosaico culturale complicato, radicato in differenti esperienze storiche e sociali.

Il riflesso dei regimi e la vita quotidiana tra memoria e sopravvivenza nelle terre del volga

Passando per città nate dall’industrializzazione staliniana, come stabilimenti siderurgici e centri di ricerca nucleare quali Dubna, emerge come le scelte di un tempo abbiano plasmato in modo indelebile il territorio e la società del Volga. La trasformazione rapida da un’economia agricola a una basata sull’acciaio e sull’atomo ha lasciato segni profondi nella psiche collettiva: la fiducia cieca o il rancore verso figure autoritarie sono parte di un retaggio vissuto quotidianamente.

Tra coloro che abitano queste zona, si incontrano anche le conseguenze delle crisi più recenti: bambini rapiti nel contesto della guerra in Ucraina, sottoposti a forzata “russificazione“, pensionati e intellettuali segnati dalla depressione e dall’incertezza, imprenditori improvvisati e membri della formazione paramilitare Wagner. La sopravvivenza si svolge in un ambiente ostile, dove l’impatto della natura e la presenza di poteri oscuri creano una realtà fatta di limiti e sfide continue.

L’abitudine diffusa dello “zapoj” – sbornie ripetute che durano giorni – sottolinea il clima esistenziale che grava su molte persone. La vita appare come sospesa, precaria, spesso avanti a una società disorientata, un contrasto che appare evidente ma che non distoglie l’attenzione da una forza che tiene ancorati a un territorio e a un’identità unica.

Il significato della dusa e la complessità spirituale del popolo russo lungo il volga

Nel cuore di questa realtà complessa, si ritrova la dusa, ossia l’anima russa, un concetto che riassume la resistenza e la speranza malgrado tutto. Questa fiamma interiore è stata alla base di molte vittorie storiche contro invasori stranieri, da Svedesi e Polacchi fino a Francia e Germania durante la Seconda guerra mondiale. Oggi, tuttavia, quel sentimento si è trasformato in rancore verso l’Occidente, ma con una distinzione ben precisa: la critica è rivolta soprattutto all’Europa più che agli Stati Uniti.

Mian richiama l’immagine di Puskin per descrivere la natura del popolo: “obbediente alla suggestione del momento, indifferente e sordo alla verità effettiva, una bestia che si nutre di favole”. Quest’immagine rivela una società che si muove tra realtà e illusioni, influenzata da miti e propaganda. Nell’interno russo oltre le città, questo carattere emerge con forza, lasciando un segno evidente in tutte le componenti sociali che attraversano il viaggio.

Luoghi simbolici come Ul’janovsk testimoniano questa complessità: è nato lì Lenin, ma nello stesso quartiere anche il suo oppositore Kerenskij. In queste contraddizioni si legge il destino del paese ed emerge una popolazione che vive costantemente sul filo del rasoio, divisa tra religioni, spiritualità pagana e nichilismo. L’orso russo non è solo un simbolo nazionale, ma un’immagine che incarna la durezza, la tenacia e le contraddizioni di un popolo da sempre oscillante tra oppressione, resistenza e aspirazioni profonde.

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