L’opera Il nome della rosa di Francesco Filidei ha debuttato alla Scala di Milano il 7 dicembre 2025, attirando un pubblico insolito per una prima teatrale. Non solo spettatori abituali ma musicisti, compositori e rappresentanti di teatri internazionali hanno assistito a questa produzione imponente, considerata un evento artistico di rilievo europeo. Il lavoro propone una versione musicale del celebre romanzo di Umberto Eco, rielaborato per il palco con una messa in scena capace di coinvolgere i sensi attraverso immagini visive e suoni sorprendenti.
Una messa in scena che unisce elementi medievali e contemporanei
L’allestimento presenta un’ambientazione ispirata al medioevo con dettagli ricchi di colore e di suggestioni visive. L’abbazia ottagonale di organza e luce domina la scena, mentre un portale romanico animato si sgretola durante l’azione teatrale, amplificando lo spessore simbolico della narrazione. Sul palco si muovono 21 personaggi principali, rappresentati attraverso costumi e scenografie elaborate, curati rispettivamente da Carla Teti e Paolo Fantin.
L’atmosfera si costruisce anche grazie a luci calibrate da Fabio Barettin, che sottolineano i passaggi più intensi della trama e accompagnano l’evolversi del mistero legato ai sette omicidi narrati. L’insieme di elementi, moderni e storici, rivela un equilibrio tra tensione drammatica e dimensione estetica, con un forte impatto emotivo sul pubblico presente.
La partecipazione di personalità della cultura e della musica al debutto
Il debutto milanese ha richiamato in platea non solo gente dello spettacolo, ma un ampio gruppo di figure del mondo musicale e teatrale. Compositori italiani come Fabio Vacchi, Salvatore Sciarrino, Silvia Colasanti e Luca Francesconi hanno presenziato, oltre a dirigenti e rappresentanti di importanti teatri europei: dall’Opéra de Lyon alla Wiener Staatsoper, fino all’ensemble Intercontemporain e al festival di Aix-en-Provence.
Non mancava nemmeno Fabrizio Zappi di RAI Cultura, che trasmetterà lo spettacolo in autunno. Un elemento significativo è stata la presenza della famiglia di Umberto Eco, con la vedova Renate e i figli Carlotta e Stefano, che hanno assistito a questa trasposizione musicale dell’opera letteraria del loro congiunto.
Elementi musicali e vocali che riflettono la complessità del romanzo
La musica di Filidei segue i diversi livelli del romanzo originale. Alcune arie si concentrano su pochi strumenti, mentre altri momenti vedono l’orchestra impegnata con un suono denso che ricorda le sonorità di Messiaen. Il coro e il coro di voci bianche hanno un ruolo cruciale: si muovono sul palco e si dispongono su una struttura rialzata per rappresentare la parte di Adso anziano, che narra gli eventi.
La direzione musicale è affidata a Ingo Metzmacher, che ha dovuto gestire una partitura complessa, con cambi di atmosfere e ritmi serrati in parallelo agli sviluppi della trama. Alcune parti sono affidate a interpreti in “en travesti”: Kate Lindsey, mezzosoprano, dà voce a Adso da Melk, mentre Daniela Barcellona interpreta Bernardo Gui, l’inquisitore. Gianluca Buratto è Jorge De Burgos, anche lui presente nonostante un lieve malessere.
L’approccio registico e la narrazione dei sette omicidi
Damiano Michieletto firma la regia, abilmente ispirata a rappresentare un racconto dalle molteplici sfaccettature. La narrazione si muove fra la suspence di giallo medievale e riferimenti filosofici e teologici senza rinunciare a momenti di crudeltà o tensione. La regia disegna un ritmo serrato, capace di rendere la storia viva e allo stesso tempo riflessiva.
Le scene visuali e sonore si alternano in modo dinamico, accompagnando lo spettatore dentro il mistero che si svolge in pochi giorni dentro l’abbazia. La complessità drammaturgica si riflette tanto nella partitura musicale quanto nell’interpretazione dei cantanti, in un gioco di luci e ombre, spazi e suoni capace di lasciare un’impronta duratura. Lo spettacolo ha segnato così un evento dalla forte presenza culturale nel calendario scaligero di quest’anno.