Il decreto sicurezza approvato di recente ha sollevato dure critiche da parte di un gruppo di 257 giuspubblicisti provenienti dalle università italiane. Secondo questi esperti, il provvedimento mette a rischio alcuni principi fondamentali della Costituzione, comprimendo diritti che sono alla base della democrazia. Il loro appello pubblico punta a richiamare l’attenzione degli organi di garanzia e dell’opinione pubblica sulle possibili conseguenze derivanti dall’applicazione di questa normativa.
Il profilo giuridico: inammissibilità del decreto e rilievi costituzionali
I firmatari definiscono il decreto un “disegno estremamente pericoloso” e evidenziano come la sua approvazione tramite decreto-legge, ottenuta con decreto d’urgenza, sia discutibile a causa dell’introduzione di nuove e pesanti sanzioni penali. In particolare, segnalano che l’aumento quantitativo e qualitativo delle pene avrebbe richiesto un esame più approfondito in sede parlamentare. La natura stessa del decreto, secondo loro, attenta alle prerogative del Parlamento previsto dalla Costituzione, poiché limita il dibattito e la possibilità di modifiche approfondite.
I principi costituzionali compromessi
Tra i principi costituzionali più compromessi, gli accademici citano il principio di uguaglianza, richiamandosi in modo specifico all’erronea equiparazione tra centri di trattenimento per stranieri e istituti penitenziari. Inoltre, denunciano una confusione tra forme di protesta: il decreto parifica infatti comportamenti passivi di dissenso a veri e propri atti di rivolta attiva, senza tenere conto delle differenze sostanziali tra le due situazioni.
Restrizioni alla libertà personale e rischio di abusi: il daspo urbano e le armi fuori servizio
Il decreto prevede misure quali il cosiddetto daspo urbano, autorizzato dal questore. Questa norma attribuisce poteri restrittivi che riguardano sia condannati in via definitiva che persone denunciate, senza distinzione chiara tra i due casi. Secondo i giuristi, questa equiparazione va contro l’articolo 13 della Costituzione che tutela la libertà personale e garantisce il rispetto delle garanzie processuali.
Altro aspetto critico è la possibilità riconosciuta alle forze di polizia di portare armi diverse da quelle d’ordinanza e anche fuori dal servizio. Questa misura apre a potenziali situazioni di rischio, aumentando la discrezionalità degli agenti in contesti non controllati. Gli esperti mettono in evidenza come questa previsione si collochi fuori da norme chiare e precauzioni necessarie a evitare abusi.
Repressione penale e limiti della libertà di manifestazione in pubblico
Molte disposizioni del decreto aggravano le pene per chi commette illeciti durante o in occasione di manifestazioni pubbliche. Questo punto suscita particolare preoccupazione visto che rende più generica e vaga la possibilità di sanzionare comportamenti illegali. I giuristi ricordano che questa vaghezza entra in conflitto con il principio di tipicità, ovvero la necessità che le condotte penalmente rilevanti siano descritte con chiarezza per evitare abusi e interpretazioni arbitrarie.
Diritto di riunione a rischio
Inoltre, le contestazioni sollevate riguardano anche il diritto di riunione in spazi pubblici o aperti al pubblico, garantito dalla Costituzione. L’ampliamento delle restrizioni e delle sanzioni su questa categoria di eventi rischia di comprimere la libertà di dissenso e il pluralismo di opinioni che caratterizzano una società democratica. Questo punto fa emergere un conflitto tra esigenze di ordine pubblico e diritti civili.
Tendenza verso un modello di controllo maggioritario e minore tutela dei diritti fondamentali
Il ragionamento dei giuristi fa emergere una linea comune in molti interventi normativi recenti: il ricorso a una “torsione securitaria” che mette l’accento soprattutto sulla repressione, per esempio aumentando i poteri delle forze dell’ordine, a scapito della tutela delle libertà individuali e collettive. L’idea dominante in questi provvedimenti sembra privilegiare l’ordine pubblico e la certezza della pena rispetto all’ascolto delle ragioni del dissenso o alla protezione dei diritti.
L’appello pubblico lanciato da docenti e ricercatori mira a sottolineare proprio questo squilibrio e a chiedere un maggiore rispetto dei confini costituzionali. L’invito è rivolto soprattutto agli organi di garanzia affinché vigilino sulla corretta applicazione del decreto e sui suoi possibili effetti in termini di diritti civili. La discussione che ne segue coinvolge non solo il mondo accademico, ma anche quello politico e sociale, alimentando un dibattito centrale per il vivere civile nel nostro Paese.