Nella regione Abruzzo, le difficoltà legate all’interruzione volontaria di gravidanza hanno assunto contorni preoccupanti, rendendo questo diritto sempre più difficile, se non impossibile, da esercitare. Recentemente, un episodio all’Ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto ha sollevato forti polemiche. Una donna, all’ingresso di una procedura di IVG, si è vista costretta ad ascoltare il battito fetale prima di ricevere la notizia dell’impossibilità di procedere. Questo evento è stato descritto da Benedetta La Penna, rappresentante di ARCI Pescara, come un altro esempio di come l’obiezione di coscienza sia diventata uno strumento per limitare l’attuazione della Legge 194 del 1978.
Obiezione di coscienza: un problema sistemico
Nel 2022, ben il 70,8% dei ginecologi abruzzesi ha dichiarato di essere obiettore di coscienza, secondo i dati ufficiali. Questo valore, riportano le associazioni del territorio, è aumentato ulteriormente nel tempo. Con 15 strutture ospedaliere disponibili, solo 7 sono in grado di garantire l’accesso all’IVG, e molte di esse lo fanno con limitazioni, ritardi e, in alcuni casi, attuando comportamenti considerati violenza istituzionale. Questo quadro fa emergere una realtà in cui il diritto all’aborto sembra dipendere più dalla disponibilità di personale non obiettore che dalla direttiva legislativa stessa.
Le segnalazioni arrivano da ogni parte della regione: nelle stanze degli ospedali, dove la decisione di un medico obiettore può compromettere la salute e l’autodeterminazione delle donne, si fa strada un clima di ostilità che mette in discussione il diritto della persona a scegliere. Secondo La Penna, questo fenomeno non è isolato ma riguarda piuttosto una dinamica diffusa che coinvolge un gran numero di strutture sanitarie. Quando le donne si trovano a dover affrontare tali prassi, spesso si sentono vulnerabili e isolate, con poche alternative a disposizione.
Conseguenze della mancanza di accesso all’IVG
Uno degli aspetti più gravi di questa situazione è l’obbligo, che molte donne affrontano, di recarsi fuori regione per accedere a procedure di IVG legali e sicure. Se da un lato questo comporta un allungamento dei tempi e una maggiore vulnerabilità, dall’altro può spingere molte a ricorrere a cliniche private o addirittura a metodi clandestini. Queste alternative non solo mettono a rischio la salute fisica delle donne, ma possono anche creare complicazioni psicologiche e sociali immense.
Le segnalazioni di pratiche scorrette sono sempre più frequenti. Alcune donne, per esempio, hanno ricevuto informazioni contraddittorie sui tempi necessari per i vari passaggi, come impegni per visite ginecologiche che portavano la dicitura “interruzione di gravidanza“, quando i tempi di attesa superavano i limiti stabiliti dalla legge. Tali episodi fanno emergere una sostanziale incapacidad del sistema nel garantire un diritto stabilito dalla normativa vigente, che scade nel limbo di disfunzioni burocratiche.
Un appello alle istituzioni
In qualità di membro della Commissione Pari Opportunità regionale, Benedetta La Penna ha dichiarato l’intenzione di portare il tema dell’obiezione di coscienza alla ribalta.
L’obiettivo è quello di chiedere un monitoraggio più rigoroso delle strutture sanitarie che operano in Abruzzo. È essenziale che siano presenti medici non obiettori in ogni ospedale, per garantire che tutte le donne abbiano accesso ai servizi di IVG senza dover affrontare barriere e ritardi. Le istituzioni devono farsi carico della responsabilità di garantire il diritto all’aborto, e ogni pratica che metta a rischio la salute delle persone gestanti deve essere fermata.
La campagna di ARCI Pescara
ARCI Pescara si sta attivando per monitorare la situazione e raccogliere segnalazioni riguardanti le violazioni dei diritti delle donne. L’obiettivo è garantire che l’IVG non diventi un “privilegio” acceso solo per chi può permetterselo, ma un diritto accessibile per tutte. L’applicazione della Legge 194/78 deve essere totale e immediata, priva di ingerenze ideologiche o morali che non hanno alcun fondamento nella sanità pubblica.
Il tempo di agire è adesso, perché il diritto alla salute e le scelte delle donne sono diritti fondamentali che non possono essere negoziabili. La libertà di scelta si deve tradurre in azioni concrete, affinché ogni persona possa decidere liberamente riguardo alla propria gravidanza senza ostacoli né discriminazioni.