L’attuale composizione della nuova Commissione europea mette in discussione gli impegni assunti dall’Unione Europea in materia di uguaglianza di genere e diversità etnica. Con sole nove donne nominate tra i 27 membri, e una unica commissaria di origini extracomunitarie, emergono serie interrogativi sulla capacità della commissione di rispecchiare le diversità della società europea e di dare un esempio e di attingere ai benefici di un’organizzazione inclusiva.
Il contesto della nuova Commissione europea
Il nuovo organismo esecutivo dell’Unione Europea, che dovrà ufficialmente insediarsi entro la fine dell’anno, ha all’orizzonte la necessità di dimostrare il suo impegno verso la diversità e l’inclusione. Nonostante le politiche promosse dalla Commissione Europea mirino a migliorare la rappresentanza delle minoranze e delle donne, la realtà dei fatti rivela una situazione critica. La strategia attuale per le risorse umane dell’Ue si propone di allineare la propria forza lavoro con la composizione demografica dell’Europa, ma i risultati finora sono deludenti.
I 27 candidati notificati dai paesi membri presentano solo una commissaria, Hadja Labib, di origine belga con genitori algerini. La sua conferma segnerebbe un’importante novità storica, rendendola la prima commissaria con un background extracomunitario. Tuttavia, questa singola nomina non è sufficiente a garantire una rappresentanza autentica e significativa delle diversità etniche ed etiche all’interno della commissione.
Il ruolo della rete europea contro il razzismo
La Rete europea contro il razzismo ha accolto positivamente la proposta di nomina di Labib, ma ha anche avvertito che una sola rappresentante non basta a garantire una reale partecipazione e inclusione delle comunità minoritarie. Secondo una portavoce di Enar, è essenziale che la Commissione intensifichi i suoi sforzi per implementare meccanismi di partecipazione più solidi, che permettano alle comunità etniche di contribuire attivamente allo sviluppo delle politiche. Tali passi sono cruciali se si desidera riempire il deficit democratico che caratterizza l’attuale panorama istituzionale.
Le richieste di maggiore inclusione nel processo decisionale si allineano con l’obiettivo più ampio stabilito nel Piano d’azione 2023-2024, che mira a creare un ambiente lavorativo che rispecchi le diversità dell’Unione Europea. La rappresentatività delle minoranze etniche, che secondo stime recenti si attesta intorno al 10%, deve essere un tema centrale nella definizione delle future politiche dell’Unione.
Sondaggio sulla diversità tra i dipendenti dell’Unione Europea
Nel 2021, è stata condotta un’indagine interna sul personale della Commissione per analizzare come viene percepita la diversità tra i lavoratori. Il sondaggio ha coinvolto circa diecimila dipendenti, tra cui anche quelli con disabilità e appartenenti alla comunità LGBTQI+. I risultati hanno mostrato che il 7,3% degli intervistati si identificava come parte di una minoranza etnica, con la maggioranza degli partecipanti che ha espresso una sensazione di rispetto e valorizzazione sul posto di lavoro.
Tuttavia, è emerso che il livello di soddisfazione non è uniformemente distribuito, poiché coloro che appartengono a comunità etniche o hanno disabilità hanno espresso un maggiore senso di insoddisfazione rispetto alla propria esperienza lavorativa. Questi risultati sottolineano la necessità di un cambiamento non solo superficiale, ma sostanziale, per garantire che tutte le voci siano davvero ascoltate e che le comunità etniche abbiano la possibilità di partecipare attivamente alle decisioni che le riguardano.
L’equilibrio di genere nella Commissione
Un’altra questione di grande rilevanza è quella dell’equilibrio di genere nella composizione della Commissione. La presidente Ursula von der Leyen aveva sollecitato i governi nazionali a presentare una lista di candidati diversificata, includendo sia uomini che donne. Tuttavia, le nomine attuali mostrano che solo nove donne sono state indicate come possibili commissarie. Questa situazione si discosta notevolmente dall’obiettivo di avere livelli paritari nei ruoli decisionali.
L’unico paese a rispondere adeguatamente a questa richiesta è stata la Bulgaria, che ha proposto un uomo e una donna. Gli osservatori istituzionali ora si interrogano su come il Parlamento Europeo reagirà a queste nomine, con la possibilità che alcuni candidati possano essere respinti.
L’impegno della Commissione per il raggiungimento della parità di genere è testimoniato dal suo obiettivo di aumentare la rappresentanza femminile in posizioni di leadership. Attualmente, si prevede un aumento della presenza femminile nei ruoli dirigenziali della Commissione fino al 48,8% entro la metà del 2024, posizionando l’Unione Europea come un caso esemplare a livello mondiale. Tuttavia, il raggiungimento di tale obiettivo richiederà misure concrete e una vigilanza costante, affinché le promesse di uguaglianza non rimangano mere dichiarazioni senza fondamento.