Una donna di 29 anni, licenziata da una scuola gestita da enti religiosi, ha rilasciato dichiarazioni sulla vicenda che la vede protagonista. La giovane si è detta contenta che la vicenda sia giunta a un punto definitivo, ma intende impugnare il licenziamento, definito “per giusta causa” dall’istituto scolastico, che però lei contesta fermamente.
Secondo la donna, non sussistono le condizioni per una risoluzione così pesante, rischiando così di perdere il diritto alla Naspi e a qualsiasi forma di buonuscita. Rifiutare il licenziamento significherebbe anche opporsi al messaggio implicito che tutto sia stato accettabile o condiviso. Questa posizione evidenzia una volontà di chiedere giustizia su una decisione percepita come ingiustificata e dura.
Le condizioni economiche durante la sospensione e il rifiuto di un accordo
Dal 19 marzo la donna è stata sospesa dal lavoro senza ricevere alcuna retribuzione, con l’istituto che l’ha posta in “ferie forzate”. In questo periodo non ha percepito alcun compenso, situazione che ha creato forte disagio economico.
La mancanza di stipendio ha aumentato la sensazione di ingiustizia vissuta dalla donna, che si è sentita costretta a reagire per non lasciare passare l’idea che fosse colpevole di qualche mancanza. La mancanza di un confronto diretto con l’istituto e l’assenza di una proposta di accordo che possa concludere la vicenda ha portato la donna a dichiarare che rimane in attesa della scelta definitiva della scuola, se chiudere la questione con un’intesa oppure perseguire un procedimento più rigido.
Isolamento totale e mancanza di comunicazioni personali da parte dell’istituto
La donna ha denunciato un isolamento completo da parte dei suoi ex colleghi e della direzione. Non ha avuto contatti né con la coordinatrice, né con il parroco responsabile della struttura, né con le colleghe.
L’unico modo in cui si sono comunicati con lei sono state lettere ufficiali, dalla scuola tramite PEC o tramite il suo avvocato. Questo atteggiamento è stato definito freddo e privo di umanità. L’assenza di messaggi di conforto o di sostegno contrasta con l’abitudine precedente alla sospensione, quando anche in caso di assenze o malesseri arrivavano messaggi.
Il silenzio pesante solleva dubbi se si tratti di una disposizione interna a vietare i contatti oppure di una vera e propria ostilità personale verso la donna.
L’impatto della vicenda sui rapporti familiari e la fede religiosa
La giovane ha raccontato anche dell’effetto che l’intera situazione sta avendo sui suoi genitori, molto religiosi, che stanno rivedendo il loro rapporto con la Chiesa non tanto sotto il profilo della fede ma per come viene gestita questa vicenda nella scuola e nella comunità.
La donna sottolinea la contraddizione tra l’accusa di immoralità che le viene mossa e il trattamento riservatole, percepito come un isolamento simile a quello riservato a una persona “appestata”. Questo clima di sospetto e isolamento ha portato a un cambiamento netto nei rapporti personali e comunitari, trasformando il modo in cui la famiglia vede l’ambiente ecclesiastico che prima frequentava con fiducia.
L’equilibrio tra dimensione personale, professionale e comunitaria appare così profondamente segnato dalle tensioni nate da questa vicenda.