Giuseppe Buonerba, noto esponente del gruppo malavitoso conosciuto come “i capelloni” di Forcella, ha appena riconquistato la libertà dopo oltre due decenni spesi tra carcere e detenzione domiciliare. La decisione della Corte di Assise di Appello di Napoli di dichiararne cessata la pericolosità sociale ha segnato un momento significativo nella cronaca della criminalità organizzata partenopea. Questo articolo esamina i dettagli della sua storia criminale, le implicazioni della sua scarcerazione e gli eventi che hanno segnato la sua carriera nel crimine.
La scarcerazione di Buonerba e il suo passato criminale
Giuseppe Buonerba è una figura di rilievo all’interno del panorama criminale di Napoli. La sua leadership nel gruppo malavitoso che operava specialmente in via Oronzo Costa, soprannominata “la strada della morte” per la violenza che vi si è consumata, ha attirato l’attenzione delle forze dell’ordine e della stampa per molti anni. La Corte di Assise ha accordato a Buonerba, tramite gli avvocati Fabrizio de Maio e Mauro Zollo, la riduzione della pena di undici anni e la revoca della misura della casa di lavoro, decisioni che hanno portato alla sua liberazione.
Le motivazioni dietro questa decisione sono complesse e si fondano su una valutazione della sua pericolosità sociale, giudicata ora non più attuale. Buonerba era attivamente coinvolto nella faida tra i “capelloni” e il clan Sibillo, un conflitto che ha segnato profondamente la cronaca criminale napoletana. La sua scarcerazione, quindi, è un evento che inesorabilmente riaccende i riflettori su un’epoca di violenza e omicidi che ha lasciato il segno nel cuore della città.
Gli omicidi di Emanuele Sibillo e Salvatore D’Alpino
Due omicidi chiave hanno caratterizzato l’ascesa e il declino di Buonerba: quello di Emanuele Sibillo e Salvatore D’Alpino. Emanuele Sibillo, il giovanissimo leader della “paranza dei bimbi”, è stato ucciso il 2 luglio del 2015; un omicidio che ha segnato un punto di non ritorno nella violenza tra bande rivali. In risposta, Salvatore D’Alpino, noto come ‘o brillante e figura di spicco del clan in piazza Mercato, è stato assassinato il 31 luglio dello stesso anno, proprio dal gruppo di Buonerba.
La moglie di Buonerba, Emilia Sibillo – pur non essendo imparentata con il giovane boss ucciso – ha ricevuto una condanna a trenta anni per la sua complicità nell’omicidio di D’Alpino. Tuttavia, in seguito alla revisione della causa, la Corte ha escluso la premeditazione da parte della donna, riducendo la sua pena a vent’anni. La difesa ha argomentato che le conversazioni intercettate tra gli imputati non evidenziano una pianificazione precisa dell’omicidio, spargendo ulteriore luce su un caso già intricato.
Conseguenze del ritorno alla libertà di Buonerba
Il ritorno di Buonerba dalla detenzione rappresenta un momento significativo per la comunità di Napoli, dove i ricordi della criminalità organizzata emersa negli anni scorsi sono ancora vividi. Molti interrogativi circondano le conseguenze di questa scarcerazione. C’è il timore che Buonerba possa riprendere rapidamente il controllo delle sue attività illecite, riavviando conflitti che si pensavano risolti.
Nella storia giudiziaria napoletana, ogni liberazione di un boss malavitoso ha portato a un nuovo capitolo di violenza, tensioni e, talvolta, persino nuovi accordi tra bande. Anche se il sistema giudiziario ha riconosciuto la cessata pericolosità sociale di Buonerba, la realtà è che le dinamiche fra le bande possono cambiare dalle fondamenta, riaccendendo focolai di conflitti. La questione di come la società affronterà questo ritorno alla libertà è ora sul tavolo, mentre gli occhi degli inquirenti e dei cittadini sono puntati su Napoli, in attesa di vedere come si svilupperà questa nuova fase della vita di Buonerba e delle sue implicazioni per la città.