Il panorama politico in Bielorussia si staglia in un clima di profonda paura e repressione, visibile in occasione delle elezioni recenti, le prime dopo le contestate presidenziali del 2020. In un contesto dove la figura dell’oppositrice Svyatlana Tsikhanouskaya aveva messo in discussione il potere di Aleksandr Lukashenko, al comando dal ’94, la situazione odierna sembra delineare un’ulteriore fase di stasi politica. Cinque i candidati in lizza, con Lukashenko e tre rappresentanti di partiti affini al governo e Hanna Kanapatskaya, la quale, pur presentandosi come indipendente, è percepita dall’opposizione come un’estensione del regime fortemente allineato a Mosca.
Lukashenko e il passaggio generazionale al potere
Oggi segna un momento potenzialmente decisivo per Aleksandr Lukashenko, settantenne e con salute in deterioramento, che ha iniziato a riflettere su un necessario rinnovo della classe politica bielorussa. Un’eventuale transizione di potere potrebbe coinvolgere uno dei suoi figli, in particolare Mikalay, noto come Kolya, che ha vent’anni. Un’alternativa, meno probabile, è un trasferimento di poteri al Consiglio di sicurezza dell’Assemblea dei popoli bielorussi, presieduto dallo stesso Lukashenko e dotato di status costituzionale dal 2022. Questo avvicendamento generazionale potrebbe rappresentare un cambio di marcia nelle dinamiche di governo, ma non senza la costante ombra della violenta repressione che caratterizza il regime.
Stretto controllo sulla società e sulla comunicazione
L’atmosfera tesa che ha caratterizzato la campagna elettorale non è di certo un caso isolato. Il contesto attuale è il risultato di una continua repressione della società civile dal 2020, culminata in una drastica chiusura di oltre 1.100 organizzazioni non governative e nell’assenza di media indipendenti. Le autorità bielorusse hanno perseguito una politica di repressione, con 1.246 prigionieri politici attualmente nel Paese. Tra questi, figure di spicco come il Premio Nobel per la pace Ales Byalyatski e numerosi attivisti, hanno subito una vera e propria “scomparsa forzata”, privati della possibilità di contatti con familiari e legali.
E’ da sottolineare che il numero dei condannati per motivi politici è in aumento. Le conseguenze della repressione fanno sentire il loro peso, con più di 3.270 persone condannate per aver partecipato a proteste, evidenziando l’ampiezza e la durata dell’oppressione. Nonostante la comunicazione sia stata fortemente soffocata, il regime cerca di mantenere una facciata di normalità e accettazione.
Intimidazioni e fermo della libertà di espressione
In vista delle elezioni, il regime di Lukashenko ha attuato diverse strategie intimidatorie per mantenere il controllo, come la detenzione dei figli degli attivisti anti-governativi. Questa pratica, già osservata nei conflitti russi, diventa un ulteriore strumento di controllo sociale e di dissuasione. Le famiglie degli oppositori vengono monitorate, e la semplice partecipazione a discussioni politiche può risultare in gravi conseguenze legali.
Gli attivisti, come nel caso di Vasyl, si trovano in situazioni disperate, con la propria famiglia inclusa in una lista di “situazioni socialmente pericolose”. Questo status può portare all’illecita perdita dei diritti parentali, amplificando la paura tra i cittadini e creando un clima generale di sfiducia e rassegnazione. Il numero di sentenze dichiarate contro genitori in situazione di contestazione politica è preoccupante e alimenta il ciclo di repressione, portando famiglie intere a scegliere l’esilio per proteggere se stesse.
La deriva autoritaria che segna le elezioni di oggi in Bielorussia prosegue, costringendo le voci dissidenti a trovare vie per eludere il regime, mentre il futuro di Lukashenko e della sua amministrazione rimane avvolto nell’incertezza.
Ultimo aggiornamento il 26 Gennaio 2025 da Marco Mintillo