Il 25 marzo 2025, la Terza Corte di Assise di Roma ha emesso una sentenza di ergastolo per Raul Esteban Calderon, accusato dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, noto leader del gruppo ultras Irriducibili. Piscitelli, soprannominato ‘Diabolik‘, è stato ucciso il 7 agosto 2019 nel parco degli Acquedotti con un colpo di pistola alla testa. Nonostante la gravità dell’omicidio, i giudici non hanno riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso, come richiesto dai pubblici ministeri. Questo caso ha suscitato un intenso dibattito su giustizia e criminalità a Roma.
Un processo lungo due anni tra tensioni e rivelazioni
Il processo che ha condotto alla condanna di Calderon si è protratto per oltre due anni, comprendendo più di quaranta udienze e l’audizione di numerosi testimoni. L’argentino, la cui vera identità è stata identificata come Gustavo Alejandro Musumeci, ha assistito alla lettura della sentenza in videocollegamento dal carcere di Larino, mostrando un atteggiamento impassibile. In aula erano presenti i familiari di Piscitelli, tra cui la madre, la sorella, e il fratello, che si sono costituiti parti civili. Al contrario, la vedova e le figlie di Piscitelli non hanno preso parte attivamente al processo.
L’istruttoria ha visto emergere diverse testimonianze chiave. Tra queste, quella di un autista cubano che si trovava con Piscitelli al momento dell’omicidio e quella di Rina Bussone, ex partner di Calderon, diventata confidente della Procura. Importante anche il materiale probatorio raccolto, come un video del delitto ripreso da una videocamera. Il filmato ha mostrato i momenti cruciali dell’omicidio, il killer avvicinarsi alla panchina e il momento dello sparo fatale.
Il giudizio dei pubblici ministeri e la mancanza dell’aggravante mafiosa
Durante la requisitoria del 17 febbraio, i pubblici ministeri hanno sottolineato come l’omicidio di Piscitelli fosse emblematico per la criminalità a Roma. Hanno descritto l’assassinio come una sorta di “avviso” per chi osava oltrepassare determinate regole nel contesto criminoso della città. Il PM Mario Palazzi ha affermato che l’omicidio rappresenta un “spartiacque” per le dinamiche di potere tra le organizzazioni criminali. Ha insistito sul fatto che Piscitelli fosse una figura carismatica, temuta e rispettata, il cui nome evocava paura e sottomissione.
Nonostante la gravità delle accuse e la chiarezza della posizione dei pubblici ministeri, i giudici non hanno accolto la richiesta di considerare l’omicidio come avvenuto con metodo mafioso. Questa decisione ha suscitato discussioni sia tra i legali delle parti che nel dibattito pubblico. In sede di replica, Palazzi ha ribadito che, sebbene Piscitelli avesse un passato controverso, non meritava la condanna a morte e che il principio del rispetto per la vita umana dovesse sempre prevalere.
Le reazioni della famiglia e il futuro della giustizia
Dopo la sentenza, la sorella di Fabrizio Piscitelli ha rilasciato una dichiarazione che esprime soddisfazione per la condanna, ma delusione per l’assenza del riconoscimento del metodo mafioso. Ha affermato che una sentenza diversa avrebbe decretato un’ingiustizia. Sottolineando l’importanza della giustizia per l’intera comunità e la società civile, ha ricordato come suo fratello, nonostante le sue trasgressioni, meriti comunque giustizia.
“È fondamentale che l’attenzione si mantenga sui mandanti ancora da identificare”, ha affermato. Ha poi ringraziato gli inquirenti e i carabinieri per il lavoro svolto fino a quel momento, sperando che le indagini portino alla scoperta di ulteriori responsabilità legate all’omicidio. Ha sin anche lodato la collaborazione di testimoni chiave, esprimendo fiducia nella possibilità di un cambiamento per le persone coinvolte.
In attesa di eventuali appelli e ulteriori sviluppi nel caso, la condanna di Calderon segna un momento cruciale nella lotta contro la criminalità e offre spunti di riflessione sulla giustizia a Roma, dove le dinamiche di potere continuano a evolversi.