Il caso Eternit Bis, che si sta svolgendo presso la Corte d’Assise d’Appello di Torino, coinvolge Stephan Schmidheiny, magnate svizzero e erede della multinazionale Eternit. Accusato di omicidio volontario con dolo eventuale per il decesso di 392 persone a causa dell’esposizione all’amianto, questo processo si colloca tra i più significativi della cronaca giudiziaria italiana. Le richieste di condanna, che prevedono l’ergastolo, sottolineano la gravità delle accuse.
Le accuse e il contesto del processo
Al centro dell’udienza, il pubblico ministero Gianfranco Colace e le sue colleghe, Maria Giovanna Compare e Sara Panelli, delineano il profilo di un imprenditore che ha messo il profitto al di sopra della salute dei lavoratori e dei cittadini. Schmidheiny non è visto come un mero “mostro”, ma piuttosto come un dirigente consapevole dei rischi letali legati all’amianto che ha deciso di continuare a produrre per massimizzare i profitti. La chiave del dibattito giuridico risiede nella sua consapevolezza riguardo ai danni prodotti dall’amianto e nella decisione di ignorare i rischi, confidando nella possibilità di farla franca.
Il concetto di dolo eventuale è essenziale in questo canto legale. Si tratta di una formula giuridica che evidenzia la consapevolezza del rischio e l’accettazione delle conseguenze. L’accusa sostiene che Schmidheiny abbia perseguito una “strategia dell’inganno”, minimizzando la gravità delle evidenze scientifiche riguardanti i danni della sostanza cancerogena, per garantire che la produzione di amianto continuasse senza interruzioni. Un evento cruciale si è svolto durante un convegno a Neuss, in Germania, nel 1976, dove avrebbe affermato ai propri collaboratori: «Io so. Io so tutto».
Le vittime e l’impatto dell’amianto
Le 392 vittime del processo non comprendono soltanto i lavoratori delle fabbriche di Casale Monferrato, ma anche cittadini comuni, che per anni hanno subito le conseguenze maligne dell’amianto. Quest’ultimo, chiamato anche “polverino”, ha avuto un impatto devastante sulla comunità, causando malattie mortali che hanno lasciato famiglie distrutte. Molti di loro non sono mai stati dipendenti dell’industria, evidenziando come l’amianto possa colpire chiunque in ambienti anche lontani dai luoghi di produzione.
La lotta per la giustizia di queste vittime rappresenta una testimonianza dolorosa delle conseguenze dell’avidità sul benessere collettivo. Durante il processo di primo grado, la Corte d’Assise di Novara ha inflitto a Schmidheiny una condanna di 12 anni per omicidio colposo aggravato, ma questa sentenza non ha soddisfatto l’accusa. La mancanza di un’esaminazione adeguata del dolo eventuale ha portato al ricorso in appello, ponendo l’accento sulla necessità di trattare con rigorosità un caso che trascende le aule di giustizia.
Riflessioni sulla responsabilità sociale e sul futuro
Vanno oltre il semplice compito giuridico le implicazioni del processo Eternit Bis, divenuto simbolo di una lotta più ampia che riguarda la responsabilità delle aziende nei confronti della salute pubblica. Le scelte imprenditoriali, come quella di continuare a utilizzare amianto nonostante i rischi noti, sollevano importanti interrogativi sulla necessità di strutture normativamente più rigide e su come il sistema giuridico debba affrontare questo tipo di questioni in futuro.
L’esito del processo avrà ripercussioni non solo per le famiglie delle vittime, ma anche per il contesto imprenditoriale italiano, interrogandosi su come l’equilibrio tra profitto e responsabilità debba essere gestito. Le azioni di Schmidheiny e la risposta della giustizia italiana rappresentano un monito per tutte le aziende: la sicurezza e la salute della società dovranno sempre prevalere su qualsiasi considerazione economica. La Corte d’Assise d’Appello ora si trova davanti a una scelta cruciale, capace di influenzare il discorso sulla responsabilità sociale e la giustizia in Italia.
Ultimo aggiornamento il 21 Novembre 2024 da Armando Proietti