Etiopia, tensioni ancora vive due anni dopo gli accordi che avevano chiuso il conflitto in Tigray

Etiopia, tensioni ancora vive due anni dopo gli accordi che avevano chiuso il conflitto in Tigray

Due anni dopo gli accordi di Pretoria, il Tigray resta segnato da tensioni militari, divisioni politiche e crisi umanitaria, mentre la Chiesa cattolica locale mantiene viva la speranza di pace e ricostruzione.
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Il secondo anniversario degli accordi di Pretoria evidenzia una pace fragile nel Tigray, con tensioni militari, divisioni politiche, crisi umanitaria e una Chiesa cattolica che cerca di mantenere la speranza. - Gaeta.it

Il 2 novembre 2024 ha segnato il secondo anniversario della firma degli accordi di Pretoria, che nel 2022 avevano sancito la fine del conflitto armato tra il governo etiope e i ribelli del Tigray. Nonostante le attese di pace e stabilità, la situazione nella regione settentrionale resta critica, con tensioni ancora aperte, divisioni politiche e migliaia di persone ancora sfollate. La popolazione vive un momento difficile, mentre la Chiesa cattolica locale tenta di mantenere vivo un barlume di speranza.

le promesse degli accordi di pretoria e la situazione attuale nel tigray

Gli accordi siglati nella capitale sudafricana avevano l’obiettivo di porre fine a un conflitto che ha provocato almeno 600 mila morti e milioni di sfollati in soli due anni. La pace doveva passare dalla smobilitazione delle truppe straniere e dal ritiro delle forze eritree e dell’Amahara, che avevano affiancato l’esercito federale di Addis Abeba nel conflitto. L’intesa prevedeva anche il ritorno graduale alla normalità nei territori devastati, con la riapertura delle vie di comunicazione, la sicurezza per i civili e la ripresa dei servizi essenziali.

presenza militare e conseguenze sulla popolazione

In realtà, gran parte delle regioni è ancora occupata da truppe eritree e dell’Amahara. Queste presenze impediscono di fatto la libera circolazione e la ricostruzione. Molti profughi non sono ancora tornati a casa, anche dopo due anni dal cessate il fuoco. La sospensione degli aiuti internazionali, come quella di Usaid, ha aggravato la crisi umanitaria. L’effetto è un’area dilaniata da instabilità e povertà, con i cittadini intrappolati tra occupazioni militari e scarsità di servizi essenziali.

fratture politiche e le tensioni interne nel tplf

Il Fronte popolare di liberazione del Tigray , la principale formazione ribelle coinvolta nel conflitto, ha subito divisioni interne che complicano ulteriormente il percorso di pace. Alla fine del 2024 il movimento si è spaccato in due tronconi. Una fazione guidata da Debretsion Gebremichael si è opposta al governo di transizione sostenuto dal primo ministro Abiy Ahmed, accusandolo di “tradire gli interessi del popolo tigrino”. La frattura ha portato a uno scontro politico che ha paralizzato molte iniziative per il ritorno alla normalità.

tentativi di stabilizzare la regione

Il primo ministro ha risposto nominando Tadesse Worede a capo dell’amministrazione provvisoria del Tigray, nel tentativo di calmare gli animi e portare stabilità. Anche rapporti complicati con l’Eritrea pesano sulla situazione. Il governo di Asmara si è detto insoddisfatto degli esiti degli accordi e non è stato coinvolto nei negoziati, alimentando un clima di sospetto e tensione lungo i confini. Monsignor Tesfasellasie Medhin, vescovo dell’eparchia cattolica di Adigrat, segnala inquietudini per questi sviluppi e sottolinea il rischio di un ritorno alle ostilità, anche se la società civile cerca di evitare il peggio.

la crisi sociale tra chi resta e chi tenta la fuga

La guerra e la precarietà hanno colpito in modo particolare la popolazione più giovane. Le scuole sono chiuse da anni, a causa del conflitto e della pandemia. Circa 1,2 milioni di bambini e ragazzi non hanno avuto accesso all’istruzione negli ultimi cinque anni. La mancanza di opportunità di studio e lavoro spinge molti giovani a lasciare la regione, spesso intraprendendo viaggi pericolosi verso l’Europa o altri paesi.

i rischi della diaspora forzata

Numerose storie di giovani finiti prigionieri di trafficanti in Libia o in Tunisia, con abusi e morti nel Mediterraneo, arrivano quotidianamente alle organizzazioni umanitarie e alle missioni locali. Questa diaspora forzata rischia di spopolare un territorio già piegato dal conflitto e afflitto dalla povertà. Per chi resta, la sopravvivenza diventa una lotta quotidiana. L’economia locale fatica a riprendersi, e le famiglie vivono in condizioni difficili, tra scarsità di cibo e difficoltà a soddisfare i bisogni più elementari.

la fede e la speranza della comunità cattolica nel cuore del conflitto

Nei giorni della Pasqua 2025 la comunità cristiana del Tigray si prepara ad affrontare una celebrazione segnata dalla sofferenza e dalle restrizioni. In molte aree sotto controllo di truppe straniere, i sacerdoti non possono raggiungere le parrocchie. Il vescovo Tesfasellasie Medhin racconta che alcune zone non hanno avuto ministri da oltre quattro anni. Durante il conflitto diversi preti sono andati via e non sono ancora tornati. In assenza di celebranti ufficiali, i fedeli hanno dovuto affidarsi a laici per guidare le messe, anche nei momenti più importanti del calendario liturgico, come la domenica delle Palme.

difficoltà e messaggi di speranza

La Chiesa cerca di negoziare l’accesso ai territori più isolati, pur trovando molte difficoltà. Monsignor Medhin richiama il simbolismo del mistero pasquale: «dopo il venerdì, c’è sempre una domenica». Questo messaggio di speranza è particolarmente importante in un’area che vive una passione continua a causa della guerra e delle tensioni. Il vescovo auspica che il nuovo governo di transizione possa portare qualche sollievo e che la comunità civile riesca a far sentire la propria voce per evitare una nuova escalation di violenze.

La situazione nel Tigray resta fragile, con molti nodi ancora da sciogliere. Nel cuore dell’Etiopia settentrionale si intrecciano paura e attesa, mentre la popolazione cerca di resistere e ricostruire un futuro possibile, malgrado tutto.

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