Nel terribile contesto di un femminicidio avvenuto a Modena, la recente decisione della Corte d’Assise ha scosso profondamente l’opinione pubblica. L’assassino, Salvatore Montefusco, ha ucciso a fucilate la compagna e la figlia davanti al figlio minore. La decisione di non applicare la condanna all’ergastolo e la frase “comprensibilità umana” usata dai giudici ha suscitato uno sconcerto diffuso, in particolare nella famiglia delle vittime. La sorella e zia delle due donne, Elena Trandafir, ha espresso la sua incredulità e il suo dolore, mentre la politica locale e la società sembrano indignate dalla motivazione adottata per giustificare un delitto così atroce.
La brutalità del femminicidio: un crimine in famiglia
L’omicidio di Gabriela e della sua giovane figlia si è consumato sotto gli occhi di un bambino, in un clima di terrore domestico. Secondo le cronache, Montefusco ha sparato a bruciapelo, lasciando entrambe le vittime esanimi. Questo gesto riflette una forte dinamica di controllo e violenza che purtroppo è presente in molte storie di femminicidio. Solo comprendendo questo background si può iniziare a capire l’allarme sociale e i bisogni di protezione delle vittime di violenza domestica.
Le modalità dell’omicidio, descritte come barbariche, hanno sollevato interrogativi su come sia possibile giustificare una simile atrocità. Le motivazioni della Corte, che si dice abbia valutato l’atteggiamento dell’assassino come frutto di una “comprensibilità umana”, lasciano perplessi. La sorella della vittima denuncia che non ci può essere spazio per giustificazioni in casi di tale gravità. L’idea stessa che si possa guardare all’omicidio con un occhio di comprensione appare, a molti, surreale e inaccettabile.
Le dichiarazioni di Elena Trandafir: un dolore senza fine
Elena Trandafir non nasconde il suo dolore nel commentare la sentenza. Le sue parole risuonano cariche di rabbia e impotenza: “Hanno ucciso mia sorella e mia nipote per la seconda volta”. La frase mette in evidenza un sentimento comune tra molte famiglie vittime di reati simili, dove non solo la vita viene spezzata, ma anche la memoria delle vittime viene riplasmata nel contesto di qualcuno che cerca di giustificare comportamenti inaccettabili.
La sorella di Gabriela ha contestato le affermazioni secondo cui la vittima avrebbe perseguitato Montefusco. Al contrario, Elena sottolinea che l’assassino, prima di stabilirsi con la sua famiglia, non viveva con loro. “Le denunce erano numerose – racconta – ed erano state presentate anche a nome di molte persone che sapevano della situazione. Ma quel giorno, la risposta delle autorità non è stata adeguata, lasciandoci senza protezione.” Queste parole illuminano una criticità nella prevenzione della violenza domestica in Italia, rimarcando la necessità di un cambiamento sistematico.
La società si interroga: quale risposta dal sistema giudiziario?
La decisione della Corte d’Assise ha aperto un dibattito più ampio riguardo le responsabilità del sistema giuridico nella protezione delle donne. Molti sollevano interrogativi su mancanze nelle indagini e nel supporto alle famiglie vulnerabili di fronte a dinamiche violente. La questione si fa urgente e critica, mettendo a confronto non solo la giustizia penale, ma anche l’efficacia degli interventi previsti per la tutela delle vittime.
Di fronte a eventi tragici come quello di Modena, risulta fondamentale interrogarsi su come il mondo della giustizia possa meglio rispondere a situazioni simili in futuro. Le parole di Elena Trandafir sono lo specchio di un dolore collettivo che chiede giustizia e riconoscimento, un appello a guardare oltre le sentenze, evitando che le vittime diventino un numero in un registro e abbracciando invece le storie di chi ha subito.
Ultimo aggiornamento il 14 Gennaio 2025 da Donatella Ercolano