Il Festival di Sanremo, giunto alla sua 75ª edizione, ha suscitato critiche feroci per la qualità dei testi delle canzoni in gara. Da molti esperti e appassionati della kermesse musicale è stato definito come uno dei festival con i testi peggiori degli ultimi dieci anni. Oltre alla presenza di alcune eccezioni, come la canzone di Bresh, “La tana del granchio”, e le liriche significative di Lucio Corsi e Brunori Sas, si fa sentire una profonda insoddisfazione. La competizione, un’occasione di riflessione e impegno sociale, sembra essersi persa, lasciando spazio a temi ripetitivi e banali che riguardano l’amore e relazioni familiari.
una mancanza di profondità nei testi
Durante le edizioni passate, il Festival di Sanremo ha visto autori e cantanti impegnarsi in opere di grande spessore. Quest’anno, invece, i testi appaiono privi di originalità e intensità emotiva. La narrativa legata a cuori, sogni e traumi sembra dominare, ma il risultato è una monotonia che delude sia il pubblico che gli addetti ai lavori. I riferimenti a elementi familiari, in particolare alle madri, riemergono in modo eccessivo. Frasi come “Non mi ricordo più com’è l’odore del caffè” e “me lo diceva mamma” sembrano ritrarre una dimensione nostalgica, che tradisce una scarsa inventiva.
In questo contesto, è interessante notare l’assenza di riferimenti a tematiche sociali e politiche. Ci si aspettava che alcuni artisti più giovani potessero portare nuove idee e messaggi in un momento storico così complesso, ma i risultati sono stati sotto le aspettative. Ci sono alcune eccezioni degne di nota, ma risultano isolate e poco rappresentative della tendenza generale. Di fatto, l’edizione 2025 ha rivelato una evidente regressione rispetto agli standard a cui i fan del festival sono stati abituati negli ultimi anni.
le parole più ricorrenti nei testi
Un’analisi dei testi dei partecipanti, realizzata attraverso un sito dedicato denominato “Le parole di Sanremo“, ha fatto emergere spunti curiosi. Le parole più frequentemente usate nei testi sono “amore” e “cuore”, con occorrenze elevate che suggeriscono una pesantezza tematica. “Amore” si registra ben 3467 volte e “cuore” 1462. Seguono “vita”, “mondo”, “occhi” e “cielo”. La prevalenza di sostantivi comuni fa sorgere interrogativi sull’ispirazione artistica degli autori.
Anche l’evidente ripetitività dei temi ricorrenti rivela che le canzoni non riescono a scalfire la soggettività ludica dell’ascoltatore, restando chiuse in una bolla che raramente tocca ambiti più profondi. Le occorrenze di sostantivi come “mano”, “mare” e “sogno” palesano un focus prevalentemente romantico e sentimentale, limitando di fatto l’impatto emotivo e la varietà espressiva dei brani proposti.
curiosità e novità lessicali
Tra le novità più sorprendenti di quest’edizione c’è l’introduzione di termini mai usati in precedenza. Frasi come “canguro“, “seratonina“, e “fluoxetina” emergono nei testi, mostrando una certa modernità lessicale, sebbene siano utilizzate in contesti piuttosto singolari e lontani dalle tradizioni cantautorali italiane. Parole inglesi come “glitch” o “parti and bullshit”, insieme a francesismi come “je t’aime”, conferiscono un’aura di contemporaneità ai brani, ma lasciano nel contempo una sensazione di disconnessione rispetto alle radici musicali italiane.
Questa mescolanza di linguaggi e stili potrebbe piacere a un pubblico più giovane, ma non manca di suscitare domande su quale direzione stia prendendo la musica italiana. La lacerazione tra tradizione e modernità è evidente, ed è un tema che meriterebbe ulteriori riflessioni. Resta da vedere se il pubblico continuerà a supportare questo tipo di evoluzione nei testi o se, al contrario, si sentirà sempre più distante da un festival che, da sempre, ha celebrato la melodia e la lirica con una certa coerenza e profondità.