La notizia dell’indagine contro Giuseppe Pignatone, ex procuratore noto per il suo operato nella lotta contro la mafia, riaccende i riflettori su una carriera costellata di successi ma anche di controversie. L’ex magistrato, attualmente presidente del Tribunale Vaticano, si trova coinvolto in un’inchiesta della Procura di Caltanissetta che lo accusa di aver favorito i boss mafiosi Antonio Buscemi e Francesco Bonura. Questi ultimi erano associati a Totò Riina e avevano legami economici con il Gruppo Ferruzzi di Raoul Gardini.
L’inizio della carriera di Giuseppe Pignatone
Dal pretore di Caltanissetta al procuratore
La carriera di Giuseppe Pignatone è iniziata nel 1974 quando fu nominato dal CSM. Dopo un periodo di formazione e il servizio di leva, fu incaricato come pretore a Caltanissetta, prima di trasferirsi come sostituto procuratore a Palermo. La sua ascesa all’interno della magistratura è stata rapida e culminò in una carriera di 45 anni, chiusa con il pensionamento nel 2019. Pignatone è noto per aver rivestito ruoli significativi nella giustizia italiana, affrontando numerosi casi di mafia e delitti di grande rilevanza.
Nel corso della sua carriera, Pignatone ha acquistato una reputazione per la sua determinazione nella persecuzione dei crimini legati alla mafia. Ha trattato casi di grande impatto pubblico, coinvolgendo figure politiche e mafiose di notevole rilievo, dimostrando sempre un forte impegno per la giustizia.
Le accuse e le indagini
L’inchiesta sul presunto insabbiamento
L’indagine a carico di Pignatone si concentra su presunti atti di insabbiamento legati a un’inchiesta mafiosa risalente al 1992, una fase delicata della lotta alla mafia in Italia. In quel periodo, Paolo Borsellino, un altro noto magistrato, stava seguendo attivamente il caso che portò alla sua tragica morte in Via d’Amelio il 19 luglio 1992. Secondo i familiari di Borsellino, l’insabbiamento delle informazioni sarebbe paradossalmente correlato alla strage.
I magistrati di Caltanissetta ipotizzano che Pignatone, in concorso con il suo collega Gioacchino Natoli e l’allora procuratore capo Pietro Giammanco, avesse un ruolo nell’occultare fatti rilevanti legati alla mafia. Quest’operazione avrebbe coinvolto anche Stefano Screpanti, capitano della Guardia di Finanza, anch’esso attualmente sotto indagine. I tre sono accusati di non aver perseguito adeguatamente le indagini e di aver inviato informazioni incomplete agli organi competenti.
Pignatone è stato interrogato dai magistrati nisseni ed ha ribadito la sua innocenza rispetto alle accuse di favoreggiamento aggravato. Tuttavia, ha rilasciato solo dichiarazioni spontanee, senza rispondere direttamente ai quesiti posti dai magistrati.
L’eredità professionale di Giuseppe Pignatone
Il significato dei processi siciliani
Nel corso della sua carriera, Pignatone è stato coinvolto in vari processi significativi, tra cui quelli relativi agli “reati politici”. Il caso più emblematico riguarda l’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della regione Sicilia, insieme ai supporti per altre figure politiche come Pio La Torre e Michele Reina. Attraverso il suo operato, Pignatone ha contribuito a far emergere un quadro giuridico più chiaro riguardo ai crimini politici in Sicilia.
Inoltre, ha avuto un ruolo cruciale nelle indagini che hanno portato all’arresto di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, noto per i suoi legami con la mafia. Pignatone è anche visto come uno dei pionieri della Direzione distrettuale antimafia, istituita nel 1991, collaborando con illustri procuratori come Pietro Giammanco e Giancarlo Caselli.
Questi eventi hanno contribuito a forgiare l’immagine di Pignatone come uno dei magistrati più rispettati e influenti nella lotta contro la criminalità organizzata in Italia, fino all’improvvisa e controversa evoluzione della sua carriera attuale.