La questione dei giovani e della loro partecipazione attiva alla società è un tema sempre attuale. Da un lato, adulti e media spesso li accusano di non impegnarsi e di chiudersi nella loro realtà digitale. Dall’altro, però, quando cercano di farsi sentire e di manifestare il loro dissenso, ricevono risposte punitive, disincentivando ulteriormente il loro coinvolgimento. Un episodio recente, avvenuto il 25 novembre in un liceo di Roma, illustra meglio questa dinamica.
La manifestazione contro la violenza di genere al liceo Mamiani
In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, gli studenti del Liceo Mamiani di Roma hanno scelto di riunirsi per dare vita a una manifestazione non autorizzata, ma con intenti lodevoli. Secondo quanto riportato da un genitore su Facebook, dopo la ricreazione, i ragazzi hanno sfilato nei corridoi e si sono fermati nel cortile della scuola per celebrare l’importante giornata. La partecipazione è stata significativa, con il sostegno di alcuni insegnanti e del personale scolastico, che hanno accolto con favore l’iniziativa.
Dopo aver esposto le loro opinioni e sensibilizzato la comunità scolastica sulla violenza di genere, i ragazzi hanno dovuto affrontare una brusca realtà: quanto era stato definito un “flash mob” si è trasformato in una manifestazione “non autorizzata”. Questa etichetta ha avuto conseguenze immediate. In un attimo, il clima collaborativo e di supporto è svanito, lasciando spazio a una reazione punitiva nei confronti degli studenti.
Le sanzioni e la repressione della voce degli studenti
La situazione è degenerata rapidamente. Al termine dell’ora, tutti gli studenti coinvolti nella manifestazione si sono trovati con una nota disciplinare sul registro elettronico. L’accusa? Non essere rientrati in aula dopo la ricreazione e mancare così alla lezione. Purtroppo, questa risposta ha dimostrato una mancanza di apertura al confronto da parte del corpo docente e dei dirigenti scolastici. La reazione ha deviato su un approccio rigidamente normativo, piuttosto che supportare i giovani nella loro espressione e nel loro desiderio di attivismo.
Questa scelta di reprimere le voci dei ragazzi solleva interrogativi sull’approccio educativo delle istituzioni scolastiche. Piuttosto che dare spazio al dibattito su tematiche cruciali come la violenza di genere, si è preferito mantenere un controllo severo, escludendo gli studenti da un dialogo che potrebbe essere proficuo e formativo. Il rischio è che queste misure punitive possano dissuadere gli adolescenti dall’impegnarsi in futuri atti di protesta o di espressione collettiva.
Conseguenze per la partecipazione giovanile
Cosa significa tutto questo per il futuro del coinvolgimento giovanile in questioni sociali? L’episodio del Liceo Mamiani è emblematico di una realtà più ampia in cui i giovani, invece di essere sostenuti e incoraggiati a interagire con le problematiche della società, si sentono messi a tacere. La risposta degli adulti, che dovrebbero fungere da guida e supporto per le nuove generazioni, è spesso una chiusura a qualsiasi forma di dissenso o di manifestazione.
Quando si crea un ambiente in cui i ragazzi sono puniti per il loro impegno e le loro idee, diventa difficile sperare in una futura partecipazione sociale da parte loro. Se gli studenti percepiscono il messaggio che le loro voci non contano e che qualsiasi tentativo di esprimersi pubblicamente viene stigmatizzato, è probabile che ritornino a chiudersi, rifugiandosi nelle loro stanze e nei loro schermi.
Un cambiamento sostanziale è necessario per incoraggiare i giovani a essere parte attiva del cambiamento sociale. Solo attraverso il dialogo e l’ascolto sarebbe possibile creare un terreno comune per affrontare tematiche fondamentali come la violenza di genere, coinvolgendo le nuove generazioni nel processo e promuovendo una cultura di rispetto e collaborazione.
Ultimo aggiornamento il 26 Novembre 2024 da Laura Rossi