La figura del generale Gunther Meinhold emerge con forza nella storia della Liberazione di Genova. Comandante in capo delle truppe tedesche in Liguria, Meinhold firmò la resa il 25 aprile 1945 nella sala di Villa Migone, evitando così la distruzione del porto di Genova e salvando migliaia di vite. Il nipote, Wijko Meinhold, ha raccontato quei momenti a margine della visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che nel 2025 ha commemorato l’80° anniversario della liberazione. Le scelte coraggiose del generale contrastarono l’ordine diretto di Hitler e segnarono la fine di un capitolo tragico per la città ligure.
Il ruolo decisivo del generale meinhold nella resa di genova
Gunther Meinhold occupava il ruolo di comandante delle truppe tedesche in Liguria al momento della resa. Il 25 aprile 1945, all’interno di Villa Migone a Genova, il generale sottoscrisse un atto formale di resa incondizionata nelle mani dei partigiani. Questo gesto costituì un elemento determinante per evitare la distruzione di infrastrutture strategiche come il porto. Hitler aveva ordinato la demolizione totale del porto di Genova, simile alla distruzione di Varsavia, come extrema ratio nel tentativo di rallentare l’avanzata dei partigiani e degli Alleati. Meinhold decise di opporsi a tale ordine, attirando addosso a sé la condanna a morte da parte del regime nazista.
Una scelta di coscienza e responsabilità
Il generale si trovava di fronte a un bivio difficile e scelse di salvare la città e la vita di migliaia di persone. La sua coscienza gli impediva di causare un massacro inutile, dimostrando un senso di responsabilità che superò l’adesione al regime. La firma della resa, accolta con sorpresa dai nazisti fanatici, fu un atto di ribellione che molti nelle forze tedesche non osarono compiere. Il gesto venne accolto invece con sollievo dalla popolazione genovese e dai combattenti partigiani, che riuscirono così a evitare una battaglia devastante nel cuore della città.
La mediazione con il comitato di liberazione nazionale e il salvataggio del porto
Dietro la resa si celava una trattativa complessa e segreta. Il cardinale Pietro Boetto, arcivescovo di Genova durante la guerra, svolse un ruolo fondamentale nel persuadere Meinhold e le truppe tedesche a non distruggere il porto. Boetto fece da mediatore tra le autorità naziste e il Comitato di Liberazione Nazionale, passando messaggi e negoziando condizioni per evitare un bagno di sangue e la totale distruzione di infrastrutture vitali.
Meinhold consegnò inoltre una mappa dettagliata delle cariche esplosive poste nel porto, indicandone la disposizione precisa. Questa mappa permise ai partigiani di disinnescare in sicurezza gli ordigni prima che potessero essere fatti esplodere. L’operazione evitò che Genova subisse il destino di altre città travolte dalla guerra e permise una rapida ricostruzione post-bellica centrata sulle attività portuali. Le negoziazioni restarono tenute segrete per molti anni, testimonianza della delicata situazione e del rischio affrontato da Meinhold e dai partigiani.
Un eroe silenzioso raccontato dai familiari
I familiari del generale Meinhold hanno sempre mantenuto un profilo riservato riguardo all’esperienza di guerra vissuta da Gunther. Wijko Meinhold, nipote, ha ricordato come il generale non abbia mai parlato apertamente della sua decisione di salvare Genova dal disastro. Nel 1951, durante una visita in città, Meinhold si limitò a osservare con calma la città dal finestrino del treno, senza aggiungere commenti.
Secondo Marianne Doering, altra nipote, questo silenzio è legato a una forma di modestia e al peso di una responsabilità tanto grande. L’assenza di parole non sminuisce l’impatto reale delle sue azioni, bensì ne evidenzia la dimensione privata e umana. Il generale evitò di presentarsi come eroe, preferendo riflettere in silenzio sugli eventi e sulle conseguenze delle sue scelte. Le testimonianze della famiglia offrono uno spaccato intimo e personale su un capitolo di storia noto soprattutto per i fatti pubblici.
La fine della vita e la prigionia
Dopo la resa e la fine delle ostilità, Gunther Meinhold venne internato in campi di prigionia. Fu ascoltato come testimone al processo di Norimberga, un evento fondamentale per la giustizia internazionale post-bellica. La sua partecipazione si limitò a fornire informazioni senza essere accusato di crimini diretti, il che riflette l’atteggiamento che lo contraddistinse durante gli ultimi mesi della guerra.
Meinhold rimase prigioniero fino al 26 giugno 1947, quando fu liberato definitivamente. Tornò quindi a Hardegsen, vicino a Gottinga in Germania, dove trascorse gli ultimi decenni della sua vita. Morì nel 1979, lasciando dietro di sé un’eredità complessa ma significativa per la storia di Genova durante la Seconda Guerra Mondiale. Il ricordo delle sue azioni rivive ancora oggi, grazie anche alle commemorazioni ufficiali e ai racconti dei familiari.