Il settore del lavoro domestico in Italia riveste un’importanza cruciale, sia dal punto di vista economico che sociale. Le famiglie italiane investono notevoli risorse per i lavoratori domestici, un aspetto che non solo supporta la cura degli anziani e delle persone in difficoltà, ma ha anche un impatto significativo sul prodotto interno lordo. Recenti studi rivelano che le spese destinate a colf, badanti e baby sitter sono in grado di generare nuovi posti di lavoro e stimolare la produzione nazionale. L’analisi approfondita del sesto Rapporto annuale dell’Osservatorio Domina offre una visione dettagliata di questa realtà.
La spesa delle famiglie per il lavoro domestico
Le famiglie italiane investono annualmente 7,6 miliardi di euro per i lavoratori domestici regolari e 5,4 miliardi per quelli irregolari, portando la spesa totale a circa 13 miliardi di euro. Questo investimento genera un risparmio significativo per lo Stato, pari a circa 6 miliardi di euro. Si stima che l’ammontare che le famiglie spendono per il lavoro domestico potrebbe equivalere al costo che il governo avrebbe per il ricovero di anziani e disabili in strutture assistenziali. Questo andamento riflette non solo le necessità quotidiane delle famiglie, ma anche la rispondenza a una domanda sociale sempre più pressante.
L’aspetto interessante è che questi 13 miliardi non rimangono nella singola economia domestica, ma vengono reinvestiti nel mercato. Secondo i dati, quest’investimento si traduce in circa 253,8 milioni di nuove ore di lavoro, fornendo un valore della produzione di circa 21,9 miliardi di euro. Questo fenomeno di circolazione economica dimostra come il lavoro domestico, pur essendo spesso poco riconosciuto, svolga un ruolo significativo nel sistema produttivo nazionale, con un effetto moltiplicatore di 1,55.
L’irregolarità nel lavoro domestico
Nonostante un apparente miglioramento, il tasso di irregolarità nel lavoro domestico rimane allarmante. Dati recenti mostrano che, seppur in calo, nel 2022 la percentuale di irregolarità si attestava al 47,1%, un dato che supera ampiamente la media nazionale di 9,7%. Ciò significa che quasi la metà dei lavoratori domestici opera in modo non regolarizzato, con tutte le implicazioni legali e sociali che questo comporta.
La rilevazione effettuata dall’Inps ha censito circa 1,7 milioni di lavoratori nel settore, ma applicando il tasso di irregolarità, il totale dei soggetti coinvolti si avvicina ai 3,3 milioni. Questa situazione evidenzia la necessità di ulteriori politiche di regolarizzazione e di misure di sensibilizzazione al fine di garantire diritti e tutela ai lavoratori.
Profili dei lavoratori domestici
Nel 2023, il numero di lavoratori domestici regolari in Italia è di 834 mila, con una predominanza femminile netta: circa il 88,6% del totale. Sul fronte della nazionalità, il 69% proviene da paesi stranieri, in particolare dall’Est Europa, che rappresenta il 35,7%. Un numero significativo di lavoratori è di cittadinanza italiana, che conta per il 31,1%. Si nota una crescente presenza di lavoratori provenienti da Georgia, Perù ed El Salvador, mentre si registra un calo tra quelli provenienti da Romania, Moldavia e Bangladesh.
Questa diversità di provenienza indica una reale varietà di esperienze professionali e culturali all’interno del settore, ma porta anche con sé sfide legate all’integrazione e all’accettazione di queste figure nelle famiglie italiane. Ciò che appare chiaro è che il lavoro domestico è sempre più globale, ma richiede attenzione riguardo la sicurezza e i diritti dei lavoratori.
Trend tra datori di lavoro
I dati dell’Inps rivelano una tendenza al ribasso nel numero di datori di lavoro nel settore domestico, con una diminuzione di 60 mila unità nel 2023, attestandosi a 917.929. Questo calo segue gli incrementi registrati durante i periodi di contenimento della pandemia, quando molte famiglie si sono trovate a dover affidarsi maggiormente ai servizi domestici.
La distribuzione geografica dei datori di lavoro è concentrata principalmente in Lombardia e Lazio, dove oltre un terzo delle assunzioni si registra. Tra i datori di lavoro, il 58% sono donne e circa il 5% ha nazionalità straniera. Questi dati mettono in evidenza come l’ambito del lavoro domestico resti tradizionalmente femminile, contraddistinto da una fragilità strutturale che merita attenzione.
Il contributo del lavoro domestico al PIL
Secondo l’Osservatorio Domina, il lavoro domestico contribuisce alla creazione di 15,8 miliardi di euro di valore aggiunto, pari a circa il 1% del PIL nazionale. Se considerato nell’ottica più ampia del settore della cura, la cifra sale a 84,4 miliardi di euro, ovvero il 4,4% del prodotto interno lordo. Queste cifre sottolineano l’importanza economica del lavoro domestico e della care economy, che si stipano in contesti non solo di assistenza, ma anche di produzione e valore sociale.
Rispetto ad altri settori, come l’agricoltura e la ristorazione, il lavoro domestico si dimostra una realtà economica rilevante che merita di essere valorizzata e sostenuta, affinché possa svolgere un ruolo importante non solo nell’economia, ma anche nel tessuto sociale italiano.
Ultimo aggiornamento il 16 Gennaio 2025 da Marco Mintillo