In italia gli amministratori delegati sono tra i più anziani d’europa: l’età media supera i 60 anni, pochi i ceo donne

In italia gli amministratori delegati sono tra i più anziani d’europa: l’età media supera i 60 anni, pochi i ceo donne

Lo studio di Heidrick & Struggles evidenzia che i ceo italiani sono tra i più anziani in Europa, con scarsa rappresentanza femminile e percorsi formativi tradizionali, limitando innovazione e ricambio generazionale.
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L'articolo analizza il profilo degli amministratori delegati italiani, evidenziando un'età media elevata, scarsa rappresentanza femminile e percorsi formativi tradizionali, con impatti negativi su innovazione e ricambio generazionale rispetto ad altri Paesi europei. - Gaeta.it

La figura dell’amministratore delegato italiano si conferma tra le più mature in Europa. Un recente studio ha evidenziato come oltre la metà dei ceo nelle principali società italiane superi i 60 anni, con una permanenza media nel ruolo di circa sei anni. Questa tendenza si accompagna a una scarsa rappresentanza femminile e a un profilo formativo preciso, con pochi laureati con dottorato e una carriera spesso legata a ruoli operativi o finanziari. I dati emergono da un rapporto internazionale che confronta le caratteristiche degli amministratori delegati in diversi Paesi, mostrando differenze significative rispetto ad altre nazioni europee e agli Stati Uniti.

L’età media degli amministratori delegati in italia e il confronto europeo

Secondo il rapporto annuale ‘Route To The Top‘ di Heidrick & Struggles, i ceo italiani risultano tra i più anziani del continente. Nel 2025, l’età media supera i 60 anni, con molti amministratori delegati che assumono il ruolo solo dopo i 55 anni, mentre appena il 13% entra in carica intorno ai 45 anni. Questo aumento di età rispetto all’anno precedente segnala un invecchiamento del top management che limita il ricambio generazionale.

Il confronto con altri Paesi europei è netto: in Francia e Danimarca, per esempio, molti amministratori delegati restano sotto i 50 anni. L’Irlanda si distingue per un’assegnazione precoce di ruoli dirigenziali, con il 31% dei ceo sotto i 45 anni. Al di fuori dell’Europa, negli Stati Uniti, l’età media è ancora più alta ma si accompagnano a strutture aziendali diverse.

L’Italia appare quindi isolata in questa tendenza, con manager che restano più a lungo nei loro incarichi. Ciò influisce sulla capacità delle aziende di innovare o di rinnovarsi nelle strategie e nelle idee, vista la minore rotazione alla guida delle società.

Il dato sul ricambio generazionale

Il fenomeno dell’invecchiamento del top management limita il rinnovo e può condizionare la dinamicità e la competitività delle aziende italiane, in un contesto globale sempre più fluido e innovativo.

La rappresentanza femminile tra gli amministratori delegati italiani resta molto limitata

La presenza femminile tra i ceo delle società quotate italiane rimane quasi assente. Tra le 40 principali società del FTSE, l’unica amministratrice delegata donna è Giuseppina Di Foggia, alla guida di Terna dal 2023. Questo dato rivela come la diversità di genere fatichi a trovare spazio ai vertici aziendali in Italia, nonostante le norme come la legge Golfo-Mosca, che prevede quote rosa nei consigli d’amministrazione.

In Europa, la percentuale di donne ceo si mantiene comunque bassa ma supera quella italiana, attestandosi tra l’8 e il 13% in paesi come Francia, Finlandia e Danimarca. A livello globale, la presenza femminile nelle posizioni apicali non supera generalmente l’8%. A guidare i numeri più elevati sono nazioni come Australia, Nuova Zelanda e Singapore, dove le donne ceo superano il 20%, ma senza raggiungere valori maggiori.

Secondo gli esperti di Heidrick & Struggles, spesso le donne si propongono per ruoli apicali solo quando soddisfano tutti i requisiti, mentre gli uomini si candidano con una preparazione inferiore. Questa dinamica contribuisce a rallentare la crescita di una leadership femminile più ampia e varia.

Un blocco nella pipeline femminile

Le difficoltà delle donne a emergere come leader derivano anche da un blocco nella pipeline di candidature, che limita la varietà e il ricambio nei ruoli dirigenziali.

Il profilo formativo e le esperienze precedenti dei ceo italiani

L’analisi si concentra anche sulla formazione e sulle esperienze professionali degli amministratori delegati italiani. Solo il 38% dei ceo possiede un dottorato, segnalando un livello di formazione avanzato relativamente contenuto rispetto ad altri mercati internazionali.

Molti di loro vantano invece una carriera consolidata in ruoli apicali aziendali. Il 53% ha maturato esperienza in ambito esecutivo, seguono il 28% con ruoli operativi e il 13% con esperienze nel settore finanziario. Questi dati spiegano come l’accesso alla leadership derivi spesso da un percorso interno di crescita in settori chiave dell’organizzazione, più che da un background accademico specialistico.

L’età avanzata alla nomina appare connessa a questo tipo di esperienza. Manager spesso entrati nel mondo aziendale molto giovani, hanno scalato diversi gradini prima di arrivare ai massimi incarichi. Questo modello professionale può influire sulla percezione di rischio nell’assegnare incarichi a esponenti più giovani o a profili non tradizionali, rallentando così la composizione delle giunte direttive.

Le forme di carriera tradizionali

L’accesso alla leadership tramite ruoli esecutivi o operativi rappresenta il percorso più comune per i ceo in Italia, a discapito di percorsi che includano una formazione avanzata o esperienze più variate.

Riflessioni sull’impatto di un top management statico e poco inclusivo

Le implicazioni di questo scenario riguardano diversi aspetti del sistema imprenditoriale italiano. La permanenza prolungata nei ruoli di vertice limita il rinnovamento, riduce l’ingresso di nuove idee e frena la competitività aziendale in un contesto globale che premia flessibilità e diversità.

La scarsità di donne ai vertici, poi, segna un divario significativo rispetto ad altre aree. Oltre all’impatto simbolico, la mancanza di rappresentanza femminile si traduce in minori opportunità di modelli di riferimento per altre figure femminili in carriera. Il blocco nelle candidature femminili denuncia un problema culturale che si riflette anche nelle selezioni delle candidature e nei processi decisionali delle aziende.

Gli esperti indicano che ottenere un equilibrio generazionale e di genere nei ruoli apicali potrebbe favorire una gestione più aperta e differenziata. La riflessione sui tempi di permanenza e sulle barriere culturali appare ineludibile per rimodellare i vertici aziendali italiani in modo più aderente alle esigenze del mercato e della società.

  • Armando Proietti

    Armando è un giovane blogger esperto di cronaca e politica. Dopo aver studiato Scienze Politiche, ha avviato un blog che analizza e commenta gli eventi politici italiani e internazionali con uno stile incisivo e informativo, guadagnandosi la fiducia di un vasto pubblico online.

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