Indennizzo di 212 mila euro per Stefano Binda, assolto nell’omicidio di Lidia Macchi
Stefano Binda, noto per il suo coinvolgimento nell’omicidio di Lidia Macchi avvenuto nel 1987, ha ottenuto un riconoscimento economico come riparazione per l’ingiusta detenzione subita tra il 2016 e il 2019. Dopo una battaglia legale lunga e complessa, la Corte d’Appello di Milano ha confermato il diritto a un indennizzo, stabilendolo in 212.000 euro. Questo articolo esplorerà le dimensioni legali della sentenza, il contesto storico della vicenda e le posizioni contrapposte tra accusa e difesa.
Contesto storico dell’omicidio di Lidia Macchi
Il caso di Lidia Macchi, studentessa di 21 anni, è uno dei più discussi e controversi della cronaca italiana degli ultimi decenni. Lidia fu uccisa nel gennaio del 1987 nel Varesotto, in un omicidio che ha scosso la comunità locale e suscitato un grande interesse mediatico. L’omicidio, avvenuto in circostanze misteriose, ha portato a indagini approfondite e a numerose ipotesi. Binda, ex compagno di liceo della vittima, fu accusato di essere il responsabile del delitto, ma dopo un lungo processo, nel 2019, fu assolto definitivamente.
Questo caso ha attraversato diverse fasi giuridiche, con un susseguirsi di contestazioni e ricorsi che hanno coinvolto la Corte d’Appello e la Cassazione. L’assoluzione di Binda ha messo in luce non solo le problematiche connesse alle indagini iniziali ma anche la complessità delle dinamiche processuali legate ai reati di omicidio e alle conseguenti ingiuste detenzioni.
Il riconoscimento dell’indennizzo
La recentissima decisione della Corte d’Appello di Milano ha confermato il diritto di Binda all’indennizzo, stabilendo l’importo in circa 212.000 euro. Questo riconoscimento rappresenta un’importante svolta per Binda, che ha passato oltre tre anni in carcere, accusato ingiustamente di un reato di cui si è sempre dichiarato estraneo.
In precedenza, una sentenza della stessa Corte aveva inizialmente quantificato il risarcimento in circa 300.000 euro; tuttavia, questa cifra è stata ridimensionata a causa della “colpa lieve” riconosciuta nella condotta processuale di Binda. I giudici hanno rilevato che alcuni comportamenti di Binda durante le indagini avevano contribuito all’errore giudiziario che lo aveva portato alla detenzione.
Le posizioni di accusa e difesa
La Procura di Milano ha sempre sostenuto che Stefano Binda, con il suo atteggiamento e i silenzi mantenuti, avesse giocato un ruolo nell’errore giudiziario, contribuendo così alla sua incarcerazione. L’atteggiamento del 55enne è stato descritto come “fortemente equivoco”, con accuse di una condotta mendace durante gli interrogatori. Secondo l’accusa, queste sommarie dell’imputato avevano portato a incomprensioni che si tradussero in gravi conseguenze legali.
Al contrario, la difesa, rappresentata dagli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito, ha sempre sostenuto l’innocenza di Binda. La difesa ha presentato prove testimoniali secondo cui il loro assistito si trovava in vacanza al momento dell’omicidio e ha sempre affermato di non avere nulla a che vedere con il crimine. Malgrado l’assoluzione, l’omicidio di Lidia Macchi resta un caso irrisolto, con interrogativi che continuano a pesare sull’intera vicenda.
Questa complessa trama di eventi evidenzia la difficoltà di garantire una giustizia equa, soprattutto in processi drammatici e ricchi di sfaccettature come nel caso di Lidia Macchi. I prossimi sviluppi giuridici potrebbero ulteriormente influenzare la narrazione di un caso che ha segnato la cronaca italiana.