Kfardlakos: un campo profughi in Libano dove la speranza di tornare in Siria sembra svanire

Kfardlakos: un campo profughi in Libano dove la speranza di tornare in Siria sembra svanire

Il cardinale Czerny visita il campo profughi di Kfardlakos in Libano, portando conforto ai rifugiati siriani che vivono in condizioni precarie e lottano per la sopravvivenza quotidiana.
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Kfardlakos: un campo profughi in Libano dove la speranza di tornare in Siria sembra svanire - Gaeta.it

Nel villaggio di Kfardlakos, situato nella provincia di Zgharta, in Libano, la vita di circa 125 rifugiati siriani è segnata da difficoltà quotidiane e una profonda nostalgia per una casa ormai lontana. Qui, tra tendoni logori e strutture di fortuna, il cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, si è recato durante una missione umanitaria. L’obiettivo è mettere in luce la situazione critica dei profughi e ascoltare le loro storie, mentre la Caritas offre aiuti vitali e una clinica mobile per rimediare a una realtà drammatica in continuo deterioramento.

La realtà del campo profughi 004 a Kfardlakos

Il campo profughi 004 si presenta come una serie di tendoni e casupole, abitato da famiglie che vivono in condizioni precarie. L’odore di umidità si fa sentire già da lontano, con una melma che attanaglia le scarpe di chi vi si avvicina. Dentro queste “stanze”, che accolgono anche sette o otto persone, la vita si svolge in un contesto di degrado e precarietà. La mancanza di beni essenziali è evidente e ogni giorno è una lotta per la sopravvivenza. I bambini, spesso con i volti sporchi e i vestiti logori, vengono mandati a lavorare nei campi o a vendere oggetti per strada, poiché la scuola è per loro solo un sogno irraggiungibile. Le donne, avvolte nei loro chador, spiegano al cardinale Czerny che, nonostante le difficoltà, preferiscono restare in Libano piuttosto che tornare in Siria, dove la situazione rimane incerta.

Nella parola delle donne, si avverte un forte senso di disperazione: “Qui almeno abbiamo un tetto, in Siria non abbiamo nemmeno una coperta”, affermano, sottolineando l’importanza di una dimora anche se misera. La questione è complessa e risente della mancanza di corridoi umanitari e di sussidi adeguati da parte degli organismi internazionali. Ogni dollaro ricevuto sembra evaporare di fronte ai debiti accumulati per l’acquisto di cibo e beni vitali.

La clinica mobile della Caritas: un aiuto indispensabile

La Caritas, attiva nella distribuzione di aiuti, ha allestito una clinica mobile per offrire supporto sanitario alla popolazione del campo. Con un carretto che funge da farmacia e un ambulatorio improvvisato, i due medici, Dalia e Pierre, visitano almeno cinquanta persone al giorno, trattando principalmente malattie croniche e casi di gravidanza. Le condizioni igieniche sono precarie, eppure le donne non si recano nei centri medici senza l’accompagnamento di un maschio della famiglia, rendendo questa iniziativa ancora più cruciale.

Le visite non si limitano al campo di Kfardlakos, ma si estendono a tutti i rifugiati e ai libanesi che si trovano in situazioni di povertà. Ogni incontro rappresenta un’opportunità per ascoltare le necessità delle persone, rispondendo a emergenze sanitarie senza discriminazioni. La paura, la malnutrizione e il sovraffollamento rendono ogni giorno un’incessante battaglia per la dignità.

La quotidianità di chi vive nel campo profughi

La vita nel campo è caratterizzata da fame e freddo. Secondo la voce del capogruppo, noto come shawish, la situazione è insostenibile: “Non abbiamo niente da mangiare e non siamo in grado di vivere il Ramadan come vorremmo”. I bambini, esposti alle intemperie e alle malattie, non hanno vestiti puliti e non possono frequentare la scuola. Le lacrime riescono spesso a nascondere il senso di impotenza di genitori e bambini.

All’interno di questo contesto, la speranza di tornare a casa apre a ulteriori domande. Quale casa? E in quali condizioni? Le risposte rimangono vaghe e sfuggenti. Ci sono famiglie che hanno vissuto qui per undici anni e che ogni giorno continuano a chiedere aiuto e sostegno, mentre affermano di desiderare ardentemente di ritornare in Siria. Ma la paura di una possibile instabilità in patria blocca il loro desiderio di rinascita.

La visita del cardinale e il messaggio di speranza

Il cardinale Czerny ha incontrato le famiglie del campo e ha ascoltato le storie di chi vive in condizioni disperate. Durante la sua visita, ha cercato di portare conforto, ricordando che la comunità internazionale è consapevole delle loro sofferenze e si sta impegnando per migliorare la situazione. “Il Papa è dispiaciuto per le vostre sofferenze e spera che un giorno possiate tornare a casa”, ha affermato il cardinale, testimoniando la vicinanza della Chiesa a queste persone.

Mentre i rifugiati continuano a esprimere la loro gratitudine per la visita di una figura di alto profilo, rimane evidente che la strada verso la speranza è ancora lunga e tortuosa. Ogni gesto di solidarietà e ogni parola di conforto rappresentano un piccolo passo verso un futuro migliore. La crisi che affligge il Libano e i suoi rifugiati si presenta come un’urgenza umanitaria che richiede un’attenzione costante e un’immediata risposta da parte della comunità mondiale.

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