Un giudizio della Corte d’Assise d’Appello di Torino ha segnato una svolta importante in un caso di omicidio che ha scosso l’opinione pubblica. Alex Cotoia, un ragazzo di diciannove anni, è stato assolto dall’accusa di omicidio volontario per aver colpito il padre Giuseppe Pompa con sei coltelli, infliggendo 34 fendenti durante una violenta lite familiare. I giudici hanno ritenuto che il gesto fosse il frutto di una reazione estrema e disperata, maturata in un contesto drammatico di violenza domestica, riconoscendo così la legittima difesa putativa come motivazione della sua azione.
Il clima di terrore nella famiglia Cotoia
La sentenza, le cui motivazioni sono state rese pubbliche di recente, dipinge un quadro agghiacciante della famiglia Cotoia. I giudici descrivono un ambiente di vita segnato da un perpetuo clima di paura, dominato da un padre caratterizzato da una “gelosia patologica” e un comportamento ossessivo. Le aggressioni, sia fisiche che psicologiche, nei confronti della moglie e dei figli erano all’ordine del giorno. Molte testimonianze confermano che Alex fosse tra i principali bersagli di questa violenza domestica, cresciuto in un contesto dove la figura paterna era fonte di terrore e sofferenza. Gli episodi di abuso, secondo quanto emerso, avevano costretto Alex e gli altri membri della famiglia a vivere in una condizione di continua ansia e sopraffazione.
La sera del 30 aprile 2020, ad un litigio già esplosivo è seguita una vera e propria emergenza familiare. Alex, testimone di violenze ricorrenti e di un’escalation di aggressività da parte del padre, ha percepito il rischio imminente. Non solo le parole urlate, ma anche la paura di una possibile aggressione fisica hanno spinto il giovane a intervenire. La sua reazione, nonostante drammatica, è stata inquadrata dai giudici come un atto di difesa non solo nei suoi confronti, ma anche della madre e del fratello. Con una forza senza precedenti, Alex ha risposto a una situazione che andava ben oltre il limite della tolleranza.
La ricostruzione del ferimento e le motivazioni della sentenza
La Corte ha ribadito che Alex ha colpito il padre fino a quando si è reso conto che non rappresentava più un pericolo. Questo dettaglio è cruciale e ha contribuito a qualificare il gesto come una reazione impulsiva. Gli elementi emersi nel corso del processo, tra cui la convinzione errata che il padre stesse per afferrare un coltello, hanno costituito una base sufficiente per ritenere legittima la sua paura. Le affermazioni della Corte, che si è espressa chiaramente sulla percezione del pericolo da parte di Alex, evidenziano come questa convinzione potesse risultare ragionevole in un contesto di abusi ripetuti.
L’assoluzione non è stata solo il risultato di un argomento di legittima difesa putativa, ma ha anche smontato meticolosamente le argomentazioni dell’accusa. Le testimonianze della madre e del fratello, messi in dubbio dalla Procura, sono stati valutati in un’ottica di comprensione del traumi. La Corte ha sottolineato che le esperienze traumatiche possono divergere e non seguire un filo logico, ma riconosce che racchiudono verità profonde. Questa considerazione ha avuto un ruolo chiave nella decisione di assolvere Alex.
La contaminazione della scena del crimine e le conseguenze dell’indagine
Un aspetto non trascurabile evidenziato dai giudici riguarda l’inadeguatezza dell’indagine. La scena del crimine, affermano, fu compromessa dal rapido intervento dei soccorritori, causando la perdita di evidenze cruciali. Questa contaminazione ha ostacolato la ricostruzione precisa degli eventi e ha alimentato dubbi su un’ipotesi accusatoria già delicata. Il fatto che gli investigatori non siano riusciti a preservare le prove ha sollevato perplessità sulla validità delle accuse nei confronti di Alex.
Il contesto travagliato del caso ha messo in luce non solo la violenza domestica, ma anche la difficoltà del sistema di giustizia nel trattare situazioni di questo tipo. Le condizioni in cui si è verificato l’episodio hanno reso la gestione del caso particolarmente complessa, sottolineando la necessità di una maggiore attenzione alle dinamiche familiari nelle indagini su casi di omicidio. Questo elemento, messo in evidenza dalla Corte, avrà certamente un impatto sulle future procedure di investigazione e sulla protezione delle vittime di violenza domestica.
Riflessioni finali su un dramma familiare
Quattro anni dopo i fatti, la giustizia ha finalmente riconosciuto la complessità del caso di Alex Cotoia, evidenziando che non si è trattato di un gesto di vendetta, ma di un disperato tentativo di proteggere se stesso e i propri familiari. La decisione di assolvere il giovane mette in luce un aspetto fondamentale: il dramma di una convivenza con un aggressore non può essere ridotto a semplici categorie di giustizia o colpa. Alex ha agito spinto dalla paura, preoccupato che l’ennesima esplosione di violenza potesse condurre a conseguenze fatali.
La Corte ha dimostrato così di saper discernere la complessità emotiva di una tragedia familiare, sottolineando che anche nei momenti più bui esiste una dimensione umana da riconoscere e rispettare. La sentenza manda un messaggio di speranza per chi si trova in situazioni simili, ricordando che la violenza domestica può assumere forme devastanti e che la ricerca della verità deve sempre tenere in conto le sofferenze di chi vive tali esperienze.