Gli ultimi eventi drammatici che hanno colpito Napoli e la sua provincia hanno riacceso un acceso dibattito sulle responsabilità sociali e educative. In particolare, Eugenia Carfora, dirigente dell’Istituto Superiore e Alberghiero “Francesco Morano” di Caivano, ha espresso preoccupazione per la crescente indifferenza e il silenzio che circondano la violenza giovanile. La sua testimonianza mette in evidenza la necessità di un cambiamento profondo nella relazione tra adulti e ragazzi, chiamando in causa le sfide emotive e relazionali.
La paura del silenzio e dell’indifferenza
“Non mi sorprendo più di ciò che accade,” ha dichiarato Eugenia Carfora, riferendosi a una serie di episodi di cronaca che hanno visto la morte di tre giovani in un arco di soli diciassette giorni. Di fronte a un panorama tanto tragico, la dirigente scolastica riflette sull’origine di tali atti violenti, sottolineando come il silenzio e l’indifferenza reciproca possano contribuire a un’atmosfera di crescente caos. All’interno di questo contesto, l’assenza di interventi educativi efficaci diventa evidente, insieme alla parte fondamentale rivestita dalla comunicazione tra le generazioni.
Carfora critica la visione distorta in cui l’educazione si riduce a semplici messaggi di autodifesa. “I ragazzi devono essere educati alla responsabilità,” sottolinea, affermando che il focus dovrebbe spostarsi dall’idea di difendersi a quella di costruire relazioni basate su valori condivisi e fiducia reciproca. La mancanza di adulti come punti di riferimento, secondo la dirigente, sta generando un vuoto in cui i giovani si sentono soli e disorientati, andando incontro a scelte distruttive.
Il ruolo dell’adulto in un’epoca di isolamento
Nel suo intervento, Carfora lamenta l’assenza degli adulti come figure autorevoli e stimolanti nella vita dei giovani. “Non vedo più gli adulti,” afferma, rilevando come la tecnologia stia contribuendo a trasformare i ragazzi in esseri sempre più isolati e distaccati dalla realtà emotiva. I dispositivi tecnologici, secondo Carfora, sono in grado di generare interazioni superficiali, privando i giovani delle esperienze e delle connessioni umane autentiche.
Sono il silenzio in familiare e il distacco affettivo a rendere i ragazzi vulnerabili e desiderosi di emozioni forti. “La pistola non è solo un oggetto pericoloso, ma riflette equilibri e dinamiche più complesse,” spiega, indicando che l’utilizzo di armi da fuoco è solo l’ultimo passo di un processo che parte da un profondo senso di solitudine. Carfora afferma quindi che è ora di un cambiamento, una sorta di “rivoluzione” in cui gli adulti, finalmente visibili, possano svolgere il loro ruolo di guida e supporto.
La necessità di un riscatto collettivo
La dirigente scolastica chiama alla responsabilità collettiva ed invita gli adulti a interrogarsi sulla propria presenza nella vita dei giovani. “Non dobbiamo chiederci chi sia il colpevole in questi episodi di violenza, ma piuttosto quanto siamo invisibili,” rimarca. Carfora chiede una riflessione profonda su come gli adulti possano rispondere a questa sfida, reimpostando il loro approccio educativo e relazionale verso le nuove generazioni.
La sua voce si fa interprete di una richiesta di riscatto, un invito a uscire dal torpore emotivo e a riappropriarsi di un ruolo attivo e significativo nella vita dei giovani. La paura e il disinteresse, secondo Carfora, stanno alimentando un ciclo di solitudine in cui i ragazzi cercano segnali di approvazione e connessione. “Ora è il momento di rendere gli adulti visibili,” conclude, lasciando intendere che il cambiamento non solo è possibile, ma assolutamente necessario per la salute futura della società.
Ultimo aggiornamento il 11 Novembre 2024 da Marco Mintillo