Le malattie metaboliche rare cambiano la vita non solo chi ne è colpito, ma soprattutto chi fa da caregiver ogni giorno. Manuela Vaccarotto è una di quelle madri che si sono trovate a vestire ruoli multipli per prendersi cura delle proprie figlie affette da una malattia metabolica rara, una condizione che in Italia ha visto solo recentemente una maggiore attenzione grazie anche al suo impegno.
Manuela ha vissuto un percorso lungo e fatto di difficoltà per ottenere una diagnosi, ha perso due figlie a causa di questa patologia e da quella esperienza dolorosa è nata una battaglia importante: portare lo screening neonatale esteso in tutte le regioni italiane per evitare ritardi diagnostici fatali. La sua testimonianza e il suo lavoro associativo restituiscono un quadro vivido di come molti caregiver, soprattutto donne, si trovino abbandonati nel loro ruolo e nelle difficoltà legate alle malattie rare. Il nuovo capitolo del progetto Women in Rare, promosso da enti del settore insieme a Uniamo, Federazione italiana malattie rare, mette in luce proprio queste storie dietro le cifre e le diagnosi, avvicinando la realtà clinica a quella sociale.
il lungo cammino verso la diagnosi e la perdita di una figlia
Nel 1991 nasce la prima figlia di Manuela, ma fin dai primi mesi qualcosa non va. La bambina non cresce, ha crisi ipoglicemiche frequenti e viene ricoverata ripetutamente senza che si riesca a capire cosa abbia veramente. Per 15 anni i medici si sbagliano sulla diagnosi, mentre lei si aggrava sempre di più fino a entrare in coma a pochi anni di vita. Senza una diagnosi chiara, la famiglia vive nell’angoscia e nell’incertezza.
La mamma si trova a gestire una bimba tracheotomizzata e stomizzata, con assistenza insufficiente a casa. Spesso rimangono soli, con un’infermiera che passa pochi minuti a settimana. Questa condizione dura per quasi due decenni, trasformando la casa in una sorta di terapia intensiva domestica. Solo dopo 15 anni arriva la diagnosi corretta: una malattia metabolica rara. A 18 anni la figlia passa in una struttura per persone in stato vegetativo, prima persona sottoposta a ventilatore in quella realtà.
il peso di un dolore prolungato
Manuela racconta il peso di quegli anni: “isolamento, paure continue per ogni raffreddore, un dolore che si estende nel quotidiano senza soluzioni immediate.” Questo vissuto dimostra quanto i ritardi nelle diagnosi abbiano conseguenze gravissime sul decorso e sulla vita dei pazienti, così come su chi li assiste.
la nascita dell’associazione e la battaglia per lo screening neonatale
Dopo aver perso due figlie a causa della stessa malattia metabolica, Manuela fonda Aismme , diventando un punto di riferimento per tante madri che affrontano condizioni simili. La sua esperienza personale diventa motore di una lotta civile per diffondere lo screening neonatale esteso in Italia. Nel 2005 solo due regioni italiane lo prevedevano, oggi è stato introdotto su scala più ampia.
La diagnosi precoce attraverso test neonatali consente di intervenire prima dell’insorgenza dei sintomi, aumentando le possibilità di cura e sopravvivenza. Manuela ricorda che il pannello di screening oggi identifica 49 malattie, e l’associazione spinge per estenderlo con almeno altre 10 patologie. Il suo impegno mira a ridurre il numero di bambini che si trovano a dover affrontare condizioni complesse senza una diagnosi tempestiva.
vent’anni di attività associativa
Aismme ha compiuto 20 anni e la sua attività comprende non solo la sensibilizzazione ma anche il supporto concreto alle famiglie. La collaborazione con altre associazioni e la comunità scientifica ha permesso un passo avanti importante che ha salvato molte vite in Italia.
donne caregiver e l’impatto sulle loro vite personali e lavorative
La storia di Manuela riflette quella di molte madri che si occupano di figli con malattie rare. Il progetto Women in Rare ha indagato l’esperienza di molte donne che vivono questo dramma. Circa il 90% dei caregiver di persone con queste malattie è donna, e tale ruolo ha conseguenze sulla qualità di vita, il lavoro e la dimensione sociale.
Molte madri hanno dovuto modificare o abbandonare la propria attività lavorativa. Nel caso di Manuela, lavorava di notte, ma con il peggiorare delle condizioni della figlia ha dovuto lasciare il lavoro per offrirle assistenza continua. Le conseguenze economiche si traducono spesso in perdita di reddito e spese aggiuntive. Per un caregiver la perdita media di giorni di lavoro supera i 40 all’anno con un impatto economico superiore a 3.500 euro.
le difficoltà di una nuova perdita
Il racconto di Manuela riporta anche al dolore di aver avuto una seconda figlia con la stessa malattia ma con decorso ancora più grave, vissuta solo pochi mesi. La diagnosi anticipata in questo caso è stata possibile grazie all’esperienza maturata con la prima figlia, ma questa sofferenza ricorre nella vita della madre.
la dimensione familiare e le nuove generazioni
Nonostante la perdita delle prime due figlie, Manuela e suo marito hanno avuto poi due gemelle che stanno bene. Le ragazze crescono con la consapevolezza di cosa significhi convivere con una malattia rara in famiglia. Oggi studiano per intraprendere carriere in ambiti come la medicina e la tutela legale dei pazienti, un segno di come l’esperienza della malattia abbia segnato anche loro.
un impegno che passa alle nuove generazioni
Il percorso di Manuela si intreccia così con quella di altre donne caregiver che quotidianamente affrontano sfide sanitarie, ma anche culturali ed economiche. La spinta a trasformare il dolore personale in impegno sociale resta un elemento centrale nelle storie raccontate dal progetto Women in Rare.
il progetto women in rare e l’attenzione alle disuguaglianze di genere
La seconda edizione di Women in Rare approfondisce il ritardo diagnostico con uno sguardo che mette insieme salute, economia e società. La presidente di Uniamo, Annalisa Scopinaro, sottolinea come le storie raccolte evidenzino la difficoltà di conciliare malattia, lavoro e famiglia per tante donne.
L’iniziativa si propone di fornire strumenti per migliorare l’accesso ai servizi e il riconoscimento del ruolo delle donne caregiver. L’obiettivo è contribuire a creare un sistema più equo che prenda in considerazione le diverse esigenze, mettendo al centro la realtà concreta di chi vive con queste malattie rare.
L’esperienza di Manuela e di tante altre donne resta un richiamo all’importanza di sostenere concretamente le famiglie e di ridurre i tempi per avere diagnosi certe. Così si può migliorare la vita di chi si prende cura e di chi lotta contro patologie complesse.