Rody Noura, originario del Libano e rifugiato in Israele con la sua famiglia, offre una testimonianza potente di come esperienze di profonda sofferenza possano trasformarsi in un viaggio di speranza e ricerca di senso. La sua vita è stata caratterizzata da domande esistenziali e da un percorso di fede che lo ha portato a scoprire la propria vocazione. Questo racconto non è solo una cronaca di eventi tragici, ma una riflessione su come la resilienza e la spiritualità possano aiutare a trovare pace e serenità anche dopo le esperienze più traumatiche.
La prematura fuga dal Libano
Era maggio del 2000 quando la vita di Rody Noura e della sua famiglia ha subito un cambiamento drammatico. Un giorno, mentre studiava per i suoi esami, il padre di Rody ha comunicato a gran voce che era giunto il momento di fuggire dal Libano. La famiglia, senza nemmeno il tempo di raccogliere le proprie cose, si è trovata a correre verso il confine israeliano, insieme a migliaia di altre persone. “Entrammo in Israele quel giorno in migliaia. Era un momento caotico, completamente non organizzato,” ricorda Rody.
La fuga è stata innescata da minacce dirette, soprattutto nei confronti di chi lavorava per il governo; costringendo molte famiglie, tra cui quella di Rody, a cercare un rifugio nel vicino Israele – un nazionale non preparato per un afflusso così massiccio di rifugiati. Nonostante le gravità della situazione, Rody conserva un ricordo di speranza, vedendo quell’evento come un “esodo”, il segnale della fine di anni di conflitto. La sua famiglia si stabilì in Galilea, trovando rifugio in centri provvisori fino a quando la vita quotidiana ha potuto riprendere.
Le domande di un’adolescenza stravolta
L’adolescenza di Rody non è stata facile. Trasferito in un nuovo paese, ha dovuto affrontare le normali sfide di quell’età, amplificate dal dramma della sua fuga. In un contesto in cui molti dei suoi amici hanno vissuto la loro vita, lui si è ritrovato a riflettere su quanto fosse accaduto. Domande come “Perché è successo tutto questo a noi?” lo hanno accompagnato. Le risposte che riceveva erano piene di colpe e recriminazioni nei confronti di Hezbollah o delle proprie scelte, lasciando un vuoto in lui.
Nel tentativo di trovare significato, la sua famiglia, profondamente cristiana, si rivolgeva alla preghiera, ma Rody, nonostante tutto, perseguitava costantemente quella domanda. “Per anni ho pregato Dio chiedendo ‘perché’. Ogni notte, il mio cuscino era bagnato di lacrime,” racconta. Rody desiderava la felicità, ma si sentiva intrappolato tra le esperienze traumatiche e le aspettative sociali. La sua ricerca di un senso di normalità lo portava verso la passione per il basket e la socialità, mentre il dolore della sua infanzia lo seguiva come un’ombra.
L’incontro che ha cambiato tutto
Un incontro casuale con un parroco ha segnato una svolta nella vita di Rody. Un problema al ginocchio lo aveva costretto a restare a casa, momento in cui il sacerdote gli propose di seguirlo in una missione. Inizialmente riluttante, Rody ha accettato e l’esperienza si è rivelata catartica. Durante il soggiorno in parrocchia, ha iniziato a sperimentare un tipo di felicità che non aveva mai conosciuto prima. “Ho sentito che nella Chiesa potevo trovare pace. Volevo unirmi a un monastero, ma le circostanze non lo permettevano,” rivela Rody.
Il suo incontro col vescovo che lo invitò a conoscere il seminario Redemptoris Mater in Galilea è risultata determinante. Qui ha scoperto insegnamenti che hanno notevolmente cambiato la sua visione della vita. Le catechesi sull’Esodo e sulla storia di Abramo lo hanno aiutato a elaborare il trauma subito. Quegli eventi, che in un primo momento sembravano privi di senso, hanno trovato un significato profondo nella sua crescita spirituale e nella sua vocazione.
Il cammino verso la formazione sacerdotale
Rody ha iniziato il suo percorso formativo nel seminario Redemptoris Mater, un percorso denso di studio e spiritualità. All’inizio, si sentiva sostenuto, ma col passare del tempo ha cominciato ad avvertire dubbi. Tuttavia, una nottata di adorazione davanti al Santissimo Sacramento ha cambiato le carte in tavola. “Quando ho pregato in quella notte, ho sentito la presenza di Dio come non mai. Ho capito che la felicità non dipendeva dalle circostanze esterne, ma dalla connessione interiore con Dio,” racconta Rody, evidenziando la chiarezza che quella esperienza ha portato nella sua vita.
Oggi, all’età di 37 anni, Rody Noura è ordinato sacerdote e svolge la sua missione in due parrocchie in Galilea, offrendo supporto e guida alla comunità cattolica maronita. La sua storia non è solo una testimonianza di resilienza, ma anche un richiamo alla possibilità di perdono e riconciliazione.
La ricerca della pace interiore e il messaggio di speranza
Rody ha imparato a riconciliarsi con il suo passato, scoprendo che la fede e l’amore di Dio possono trasformare anche le esperienze più dolorose. “Ho chiesto perdono a mio padre, per averlo ritenuto colpevole della mia infelicità. La fede mi ha permesso di benedire ogni aspetto della mia storia,” afferma. La sua missione va ben oltre il piccolo ambito parrocchiale, poiché Rody invita tutti a riflettere sull’importanza della pace e del perdono, non solo in Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo dove i conflitti continuano a porre sfide.
Questa narrazione di Rody Noura rappresenta una luce nel buio, un esempio di come dalla sofferenza possa nascere un impegno profondo verso la costruzione di ponti e il ripristino della pace, sia dentro di noi che intorno a noi, suggerendo che la vera felicità può derivare dalla connessione con il divino e dalla comprensione del nostro cammino.
Ultimo aggiornamento il 21 Dicembre 2024 da Armando Proietti