Le recenti indagini condotte dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare hanno portato alla luce dati preoccupanti riguardo la distribuzione del valore nella filiera agroalimentare. Soprattutto, emerge un chiaro squilibrio tra le varie fasi della catena produttiva, con implicazioni dirette sui guadagni degli agricoltori. Davanti a questi risultati, è fondamentale esaminare più da vicino il contesto e le conseguenze di tali dinamiche economiche.
I margini ridotti per gli agricoltori
Secondo l’analisi di Ismea, circa 100 euro spesi dai consumatori per prodotti agricoli freschi generano meno di 20 euro di valore per gli agricoltori. Togliendo ammortamenti e salari, il profitto finale per questi ultimi si prospetta a soli 7 euro. A confronto, nel macro-settore del commercio e trasporto, il guadagno è di circa 19 euro. Per quanto riguarda i prodotti trasformati, la situazione risulta ancora più sfavorevole: l’utile degli agricoltori per quanto riguarda le merci che passano dalla fase agricola a quella industriale scende a 1,5 euro, mentre nell’industria si attesta su 1,6 euro. Un chiaro indicativo che il valore residuo per gli agricoltori è oltremodo ridotto rispetto alle fasi conclusive della filiera.
Questa analisi, basata sui dati recenti forniti da Istat e presentata al Ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste nel rapporto annuale dell’agroalimentare, rivela la necessità di un’approfondita riflessione su come migliorare la situazione economica degli agricoltori, affinché possano ricevere un compenso adeguato per il loro lavoro e le risorse impiegate.
Squilibri strutturali nella distribuzione del valore
Ismea evidenzia come gli squilibri strutturali nella distribuzione del valore lungo la filiera agroalimentare abbiano un impatto significativo. Le fasi più a valle, come logistica e distribuzione, riescono a trattenere la porzione maggioritaria del valore finale del prodotto, lasciando pochi margini agli agricoltori. Questo disallineamento non solo danneggia economicamente le imprese agricole, ma compromette anche la sostenibilità dell’intero settore.
Un caso emblematico è quello della filiera della pasta, il cui costo di produzione del frumento duro rappresenta il 36% del valore finale. Qui, il margine della distribuzione si rivela un fattore determinante: la sua incidenza sul prezzo finale è passata dal 30% nel 2017 al 36% nel 2023. Questo incremento mette in risalto come i guadagni dei distributori stiano aumentando a scapito degli agricoltori.
Le difficoltà nella filiera della carne bovina
Un altro ambito colpito da compressione dei margini è la filiera della carne bovina. Gli allevatori si trovano in una situazione difficile; i costi per l’approvvigionamento degli animali e l’alimentazione rappresentano oltre il 60% del valore finale del prodotto. Queste spese elevate limitano drasticamente la capacità degli allevatori di ottenere un margine di guadagno significativo, rischiando così un effetto domino sulle altre fasi della filiera.
La diretta conseguenza è una maggiore dipendenza da aiuti pubblici, come la Politica agricola comune e forme di supporto nazionali. Tali misure forniscono sollievo parziale, ma non risolvono il problema delle disparità di valore. Solo avviando un’accurata ristrutturazione della filiera e promuovendo una giusta remunerazione per i produttori, sarà possibile garantire una maggiore sostenibilità economica per gli agricoltori italiani.
La questione di come modificare queste dinamiche è diventata cruciale, specialmente in un contesto dove la sicurezza alimentare e il benessere economico degli agricoltori sono sempre più interconnessi e sotto il mirino delle istituzioni e dei consumatori.
Ultimo aggiornamento il 21 Novembre 2024 da Marco Mintillo