La violenza nei confronti delle donne non si limita a danni fisici e psicologici immediati, ma può lasciare segni a livello molecolare certosini. Recenti studi hanno evidenziato che le vittime di violenza presentano modifiche epigenetiche, che sono cambiamenti chimici che influiscono sull’espressione dei geni senza alterarne la sequenza di base. Questo fenomeno è stato mappato attraverso il progetto Epigenetics for Women , realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità, insieme all’Università degli Studi di Milano e alla Fondazione Cà Granda dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Un progetto alla ricerca di segni durevoli nel genoma
Attualmente, il progetto Epi-We è entrato in una fase avanzata che prevede l’inclusione di un numero crescente di donne vittime di violenza. Attraverso un monitoraggio della durata di 18 mesi, l’iniziativa intende valutare in che modo le modifiche epigenetiche si manifestano e perdurano nel tempo. Analizzando il DNA delle partecipanti, il team di ricerca mira a scoprire l’estensione e la stabilità di queste alterazioni, che potrebbero fornire chiavi per interventi preventivi mirati per le donne che hanno subito traumi.
In cinque Regioni italiane – Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria – le donne hanno l’opportunità di ricevere informazioni relative alla partecipazione al progetto, che prevede la donazione di campioni biologici. Questi campioni saranno analizzati tramite quattro prelievi nel corso dell’anno e mezzo, con un’attenzione particolare al monitoraggio del benessere psicofisico, incluso l’identificazione di patologie correlate allo stress. L’invito alla partecipazione è esteso a chiunque desideri contribuire, contattando l’indirizzo email messo a disposizione dai ricercatori.
Riscontri e iniziative per il personale sanitario
Finora, il progetto ha ottenuto una risposta positiva, con 70 donne che hanno già accettato di partecipare, condividendo anche esperienze personali relative alla violenza subita. Simona Gaudi, ricercatrice dell’ISS e coordinatrice del progetto, sottolinea come questa partecipazione sia un segnale importante non solo per la ricerca, ma anche per la solidarietà tra le donne coinvolte.
Parallelamente, l’ISS continua a impegnarsi nella formazione del personale sanitario per riconoscere e prevenire la violenza di genere. I corsi di formazione hanno raggiunto più di 18 mila operatori nei pronto soccorsi italiani e oltre 2 mila professionisti in ambito territoriale. Anna Colucci, ricercatrice dell’Unità Operativa dell’ISS, spiega che è cruciale fornire al personale sanitario gli strumenti e le competenze necessarie per individuare e affrontare situazioni di violenza, che spesso non sono evidenti, ma purtroppo molto diffuse.
Nella lotta contro la violenza di genere e le sue conseguenze, l’integrazione di ricerca, prevenzione e formazione rappresenta un approccio fondamentale nel tentativo di affrontare un problema sociale di rilevanza crescente.
Ultimo aggiornamento il 22 Novembre 2024 da Donatella Ercolano