Le proteste dei detenuti avvenute il 5 aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, nel Casertano, continuano a suscitare un acceso dibattito legale e mediatico, soprattutto in seguito alla perquisizione straordinaria condotta il giorno dopo dagli agenti della polizia penitenziaria. Durante le indagini preliminari, alcuni video cruciali sono stati modificati dal consulente della Procura, sollevando interrogativi sull’impatto che questo ha avuto sulla difesa degli imputati.
Il contesto delle proteste del 5 aprile
Il 5 aprile 2020, nel reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, oltre 400 detenuti iniziarono una protesta contro le misure di sicurezza e la situazione sanitaria all’interno della struttura, dopo aver appreso della positività al Covid di uno di loro. I reclusi, preoccupati per la loro salute e quella dei propri cari, misero in atto un’azione di barricamento, protestando pacificamente e chiedendo maggiori garanzie. Tuttavia, le autorità interpretarono la situazione diversamente, vedendo ciò come l’inizio di un’ammutinamento potenzialmente violento. Durante la protesta, i detenuti trasformarono i tavoli in strumenti di difesa, rompendo le gambe per utilizzare i pezzi di legno come bastoni.
Questo evento si è intensificato il giorno successivo con una perquisizione da parte della polizia penitenziaria, che ha portato a episodi di violenza sui detenuti, definiti nella querela “orribile mattanza” dal giudice per le indagini preliminari. La spinta delle autorità di sicurezza ha portato ad un maxi-processo che coinvolge 105 imputati, tra cui molti poliziotti e funzionari del Dap, e ha acceso un dibattito critico sulle reali dinamiche di quello che è accaduto.
La controversia sui video delle proteste
Al centro delle accuse e delle difese vi è il raffronto tra le dichiarazioni delle autorità e le difese degli imputati riguardo alle condizioni di quella giornata. I video della protesta, opera di un monitoraggio della polizia penitenziaria, sono dovuti a un intervento del consulente della Procura che ha tagliato sezioni ritenute potenzialmente cruciali e determinanti nel contesto di una difesa legale. Secondo i pubblici ministeri, i frame eliminati mostravano i detenuti nel momento in cui rompevano i tavoli, un elemento che avrebbe potuto verificare la tesi che si trattava di una legittima reazione alla loro condizione piuttosto che un’ammutinamento violento premeditato.
Questo solleva forti dubbi. Le difese degli imputati hanno sottolineato come la mancanza di accesso a questi video modificati ha ostacolato una piena strategia difensiva, compromettendo il diritto alla giusta difesa. La questione del montaggio dei filmati e il libero accesso agli stessi è diventata un elemento centrale nel dibattito legale, essendo impossibile stabilire le reali intenzioni dei detenuti all’epoca dei fatti.
La gestione dei supporti digitali e le difficoltà processuali
La questione non si limita solo ai video delle manifestazioni. Un altro aspetto determinante emerso nel corso del processo riguarda i cellulari degli imputati, tutti sequestrati nel corso delle indagini. Si è reso necessario coinvolgere un perito, Massimo D’Addio, per rimuovere contenuti privati e garantire che il materiale presentato in aula fosse conforme alle normative sulla privacy. Questa fase ha creato ulteriori difficoltà , poiché nella prima fase di indagine, le copie dei cellulari erano state presentate senza alcuna eliminazione dei contenuti privati, creando confusione e ulteriore tensione tra le parti.
La Corte d’Assise ha dovuto prendere misure per garantire che non ci fossero violazioni dei diritti degli imputati, e ha emesso richieste affinché il materiale di indagine fosse analizzato con attenzione, mantenendo il rispetto della privacy. Le audizioni delle parti coinvolte hanno rivelato una mancanza di coordinamento tra la procura e gli esperti, portando a ritardi e complicazioni.
Testimonianze e dichiarazioni in aula
Le audizioni nel corso del processo hanno portato alla luce testimonianze come quella del consulente Pietro Izzo, che ha confermato di aver operato i tagli ai video su richiesta della polizia giudiziaria, giustificando che fosse necessario per far fronte a una mole elevata di filmati. Di fatto, ciò che emerge è un quadro complesso in cui le varie parti sostengono versioni differenti circa le violazioni dei diritti e delle procedure.
Dunque, sebbene il processo continui a procedere, il caso di Santa Maria Capua Vetere pone interrogativi importanti sul sistema di giustizia e sui diritti dei reclusi, evidenziando la necessità di un’analisi approfondita e imparziale di eventi che hanno scosso l’opinione pubblica e messo in discussione l’operato delle autorità . La lotta per una giusta rappresentazione legale di quanto accaduto è appena all’inizio e continua a tenere alta l’attenzione su una situazione delicata e complessa.