“Le università sono il nemico”. Lo ha detto J.D. Vance in un discorso alla National Conservative Conference nel 2019, quando l’attuale vice presidente era senatore dell’Ohio. In quell’occasione, Vance lodò anche la saggezza di Richard Nixon, che aveva attaccato “i professori come i nemici”. Nixon, nel 1972, era arrabbiatissimo con il mondo accademico per le manifestazioni contro la guerra del Vietnam. Per vendicarsi, l’allora presidente ordinò al personale dell’Office of Budget and Management di tagliare i fondi al Massachusetts Institute of Technology (MIT), uno degli atenei più prestigiosi d’America, ma i tagli non furono mai messi in pratica.
Nixon fu un dilettante in confronto agli attacchi sferrati dall’attuale presidente alle università. Donald Trump ha minacciato di tagliare i fondi del governo a quegli atenei che non seguiranno le sue direttive nello smantellare quello che lui considera antisemitismo nel mondo accademico. Inoltre, ha insistito affinché le università modifichino le assunzioni e cambino i programmi per riflettere valori considerati appropriati da lui.
Alcune università minacciate da Trump, come la Columbia University di New York, si sono piegate, promettendo di adeguarsi per non perdere milioni di dollari dal governo federale. La Columbia ha accettato la maggior parte delle richieste, inclusi:
il bando all’uso delle maschere nel campus,
la concessione del potere alle forze di sicurezza di rimuovere o arrestare studenti,
la modifica del dipartimento di Studi del Medio Oriente, da cui erano partite proteste a favore della causa palestinese.
La Harvard University, invece, ha scelto la strada della resistenza. Ha ribadito legittimamente la sua libertà accademica. In una lettera pubblica, il rettore Alan M. Garber ha riaffermato l’autonomia e l’indipendenza dell’università, dichiarando che Harvard non rinuncerà né alla propria indipendenza né ai diritti costituzionali. Continuerà a sostenere i valori della ricerca, della produzione e diffusione della conoscenza come istituzione privata.
La posizione di Harvard è ammirevole, anche se alcuni critici fanno notare che, con un patrimonio di 53 miliardi di dollari, può permettersi la perdita dei 2 miliardi minacciati da Trump. Tuttavia, esistono altri pericoli:
revoca dello status fiscale di ente no profit,
limitazioni ai visti per studenti stranieri, che rappresentano il 27% degli iscritti a Harvard.
Se la revoca fiscale potrebbe essere sfidata legalmente, l’effetto sui visti è molto più concreto e potrebbe scoraggiare l’arrivo di studenti stranieri non solo a Harvard, ma anche in altre università americane. Ricordiamo che gli studenti internazionali rappresentano un business importante, poiché pagano l’intera retta – a Harvard si avvicina ai 60.000 dollari annui. L’università ha recentemente dimostrato sensibilità sociale, offrendo di coprire rette e spese per gli studenti con reddito familiare inferiore a 200.000 dollari annui.
La reazione di Harvard è significativa per molte ragioni. L’ateneo è costantemente tra i primi cinque nel ranking mondiale. Quando si pensa a Harvard, si pensa all’eccellenza accademica. Non sorprende, quindi, che la sua posizione sia stata condivisa da quasi 200 università, che hanno firmato una lettera dell’American Association of Colleges and Universities. Il documento, firmato dai rettori, denuncia la “interferenza senza precedenti” del governo Trump nella libertà accademica.
Le minacce di Trump sono efficaci solo quando generano paura. Ma quando incontrano resistenza, il 47° presidente si trova spesso costretto a fare marcia indietro, come accaduto con i dazi o con la minaccia di licenziare Jerome Powell, presidente della Federal Reserve. L’annuncio dei dazi fece crollare i mercati e aumentare il timore di recessione. Di recente, Trump ha fatto marcia indietro: Powell resterà al suo posto e i dazi alla Cina saranno ridotti.
Queste vicende dimostrano le debolezze di Trump e la scarsa affidabilità delle sue trattative. L’inaffidabilità presidenziale genera insicurezza non solo nel mondo accademico, ma anche nell’economia globale, minando la stabilità internazionale e suggerendo che la leadership americana appartenga ormai al passato.
Articolo di : Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.