Recenti scoperte da un’équipe di ricercatori dell’Università di Trento hanno messo in luce il potenziale dell’N-acetilcisteina, un principio attivo usato in diversi farmaci, nel ridurre l’infiammazione nel cervelletto di soggetti con disturbi dello spettro autistico. La ricerca ha approfondito l’importante correlazione tra l’infiammazione cerebrale e i deficit comportamentali, aprendo così nuove strade nella comprensione delle basi biologiche dell’autismo.
Scoperta innovativa sul legame tra infiammazione e autismo
Un team sotto la direzione di Yuri Bozzi ha per la prima volta messo in relazione l’insorgenza di disturbi dello spettro autistico con l’infiammazione nel cervelletto. Queste scoperte sono frutto di un intenso lavoro di cinque anni, il cui focus principale è stato il gene Cntnap2, noto per le sue alterazioni in diversi casi di autismo. L’analisi ha evidenziato che l’infiammazione affinché si manifesti deve coesistere con l’alterazione genetica, colpendo principalmente il cervelletto, una regione del cervello cruciale per il movimento, l’equilibrio e funzioni cognitive.
Lo studio ha rivelato che l’infiammazione nel cervelletto non è solo un sintomo, ma gioca un ruolo fondamentale nel contribuire a comportamenti tipici del disturbo autistico. Questo approccio rappresenta una novità nel panorama delle ricerche sull’autismo, che fino ad ora aveva trascurato il legame tra infiammazione e comportamento nei soggetti affetti.
L’N-acetilcisteina: un potenziale strumento di ricerca
L’N-acetilcisteina, utilizzata tradizionalmente per le sue proprietà mucolitiche e antinfiammatorie, ha dimostrato di avere effetti benefici nel contesto della ricerca sull’autismo. Quando somministrata, questa sostanza promuove una migliore risposta da parte della microglia, le cellule del sistema nervoso centrale responsabili dell’immunità cerebrale. Bozzi ha spiegato che l’azione dell’N-acetilcisteina avviene attraverso un miglioramento del sistema di riparazione cellulare, il quale riduce il danno causato dall’infiammazione.
Questi risultati, pur non suggerendo la possibilità di un farmaco definitivo per l’autismo, pongono l’accento su un nuovo modo di interpretare le interferenze biologiche che possono influenzare il comportamento. È importante sottolineare quindi che, anche se l’N-acetilcisteina non è un rimedio per l’autismo, può rivelarsi un utile strumento per studiare ulteriormente il fenomeno dell’infiammazione cerebrale e la sua relazione con i disturbi comportamentali.
Prospettive future nella ricerca sull’autismo
Il lavoro del gruppo di Trento, pubblicato sull’autorevole rivista “Brain Behavior and Immunity“, è intitolato “The interplay between oxidative stress and inflammation supports autistic-related behaviors in Cntnap2 knockout mice“. Questo studio apre a significative prospettive riguardanti il modo in cui la vulnerabilità genetica si intreccia con il bilanciamento tra stress ossidativo e infiammazione, suggerendo che entrambi possano avere un ruolo cruciale nei disturbi dello spettro autistico.
Il progresso della ricerca è stato sostenuto anche da finanziamenti ottenuti dal progetto Train dell’Università di Trento e dalla Fondazione Umberto Veronesi. Queste risorse hanno permesso un’analisi dettagliata e approfondita delle interazioni biologiche, promuovendo la ricerca verso nuove frontiere nella comprensione delle cause dell’autismo. Con nuove scoperte scientifiche come queste, ci sono sempre maggiori speranze di fare luce sui meccanismi che si celano dietro questo complesso disturbo del neuro sviluppo.