La salute degli oceani è sempre più compromessa dalle attività umane, con conseguenze devastanti per l’ecologia terrestre. Dalla perdita di biodiversità all’acidificazione degli oceani, le evidenze scientifiche mostrano un quadro preoccupante. In un contesto di negazionismo rispetto alla crisi climatica, è fondamentale approfondire i fattori che contribuiscono a questa degradazione e cosa comporta per il pianeta.
Il collasso degli ecosistemi marini
I mari e gli oceani coprono oltre il 70% della superficie terrestre e sono essenziali per la vita sul nostro pianeta. Tuttavia, negli ultimi quarant’anni, si stima che metà delle specie marine sia scomparsa, un segnale allarmante di un degrado senza precedenti. Il cambiamento climatico, insieme alla pesca eccessiva e all’inquinamento, sta esercitando una pressione insostenibile su questi ecosistemi. Le emissioni di CO2 prodotte dall’attività umana stanno incrementando, e circa il 30% di questo gas serra viene assorbito dagli oceani, alterando la loro composizione chimica.
Quest’assorbimento ha avuto effetti collaterali significativi. Gli oceani hanno ricevuto circa il 93,4% del calore in eccesso generato dalle attività umane, un fatto che ha contribuito all’aumento delle temperature delle acque. Per esempio, nel 2023, le temperature del Mar Mediterraneo hanno superato di oltre 2 °C la media stabilita tra il 1982 e il 2011. Questo riscaldamento ha provocato la perdita di specie marine cruciali e l’emergere di specie aliene, favorendo quelle più adatte alle acque calde, a scapito della biodiversità.
Acidificazione delle acque e perdita di biodiversità
Un altro aspetto critico è l’acidificazione degli oceani. Secondo i dati forniti da Copernicus, i mari si stanno acidificando a una velocità dieci volte superiore rispetto ai precedenti trecento milioni di anni. Oggi, i mari sono più acidi di quanto non siano stati negli ultimi 20 milioni di anni, con un aumento del 40% dell’acidità dall’era preindustriale. Questo fenomeno mette in grave pericolo gli organismi marini che depongono gusci, come coralli e molluschi, compromettendo la loro capacità di sopravvivere.
L’aumento dell’acidità risulta dannoso anche per le catene alimentari marine e per la riproduzione di specie vitali come i crostacei. La salute degli ecosistemi marini è essenziale per mantenere l’equilibrio, e la riduzione della biodiversità comporta danni anche per le popolazioni umane, poiché molte di queste specie sono fondamentali per la pesca e la sicurezza alimentare.
La crisi umana e l’inerzia collettiva
Nonostante i segnali d’allerta, l’inerzia persiste. L’organizzazione Marevivo, fondata 40 anni fa, ha come obiettivo la protezione dei mari dalle insidie della pesca eccessiva e dell’inquinamento, ma l’appello rimane ancora inascoltato. Recenti studi hanno rivelato la presenza di microplastiche nel cervello umano, con il 0,5% del tessuto cerebrale di alcune persone composto da plastica. Questo fatto contribuisce a comprendere quanto il degrado ambientale possa ripercuotersi sulla salute umana.
Senza un’azione coordinata a livello globale, la situazione continuerà a deteriorarsi. Le conseguenze non riguardano solo l’ambiente, ma colpiscono anche la stabilità economica e il benessere umano. Interventi mirati per ridurre le emissioni di CO2 e promuovere scelte più sostenibili sono urgenti. Non possiamo ignorare il legame intrinseco tra la salute dei mari e quella dell’umanità, come dimostrano i fatti. La salvaguardia degli oceani è fondamentale, ma richiede che ognuno di noi riconosca l’importanza di agire ora per garantire un futuro sostenibile.