La partecipazione nelle carceri non si limita a eventi solenni come l’apertura della Porta Santa. Un impegno costante prende forma con incontri regolari e momenti di condivisione tra detenuti e volontari. Questo articolo racconta come la fede e la presenza umana si intrecciano dentro le mura carcerarie, mostrando volti spesso ignorati dalla società e un’attività che si rinnova con cadenza bisettimanale.
trasformare la messa in carcere in un momento di speranza concreta
In carcere, la celebrazione della messa rappresenta molto più di un rito religioso. Cinquanta persone, due volte al mese, entrano per incontrare i detenuti e partecipare insieme alla funzione. Prima di accedere però, si affronta un percorso necessario ad abbattere pregiudizi. «Un penitenziario non è uno zoo», spiega Ambarus, sottolineando l’importanza di comprendere la dignità e la complessità della realtà carceraria. Questo processo prepara i volontari a relazionarsi con chi vive la detenzione, aiutando a portare dentro un messaggio che va oltre la religione: è un invito a non abbandonare chi è dietro le sbarre.
un ponte tra mondi separati
La messa, quindi, diventa uno spazio dove si coltiva un rapporto autentico. La regolarità degli incontri crea un ritmo che segna la vita dei detenuti, offrendo un’alternativa alla solitudine e alla rassegnazione. Si costruisce un ponte tra mondi separati, cioè quello della società esterna e quello delle persone private della libertà.
riflessioni e azioni concrete dopo ogni celebrazione
Non basta solo la funzione religiosa: l’attenzione continua con momenti di riflessione alla fine di ogni messa. Qui si parla di come impegnarsi, di cosa significhi davvero “rimboccarsi le maniche” per chi vive quella realtà. Per Ambarus l’obiettivo è chiaro: stare accanto ai detenuti durante la loro detenzione e anche quando escono, perché il sostegno deve durare più a lungo del tempo passato in cella.
impegno che supera il rito
Questi scambi diventano occasioni per affrontare le difficoltà quotidiane legate al carcere. Si parla dei bisogni concreti, delle mancanze e delle aspettative che restano spesso insoddisfatte. La riflessione aiuta a mettere in chiaro che l’impegno non è solo spirituale, ma deve tradursi in gesti pratici, in una presenza costante e visibile.
osservazioni sulla condizione materiale e sociale dei detenuti
Le storie raccontate durante questi momenti d’incontro svelano situazioni dure. Un detenuto ha confidato di non aver mai ricevuto visite, un fatto che ha colpito profondamente chi ascoltava. Altro dettaglio emerso riguarda le condizioni materiali: alcune persone in carcere camminano scalze, perché non hanno scarpe proprie. Lo Stato garantisce il vitto, ma lascia molti altri bisogni senza risposta.
È una realtà che mette in discussione l’idea di persone ridotte a “fantasmi chiusi a chiave”. In carcere ci sono uomini e donne, fratelli e sorelle, con storie, fragilità e diritti. Ricordarlo è un passo importante per chi lavora dentro e fuori le mura, impegnandosi a non dimenticare nessuno.
il ricordo di un referente carcerario e la responsabilità che resta
Ambarus conserva un ricordo intenso legato a un detenuto che lo vedeva come una figura paterna. Quel legame ha generato un segno profondo: gli è stata affidata una lettera e un fiore da deporre sulla tomba del detenuto. Quel gesto simboleggia un seme di speranza piantato nel luogo più difficile.
responsabilità e missione continua
La responsabilità ricade ora su chi continua questa missione. Non si tratta solo di partecipare alle celebrazioni o di portare conforto, ma di far crescere quel seme. Il lavoro nelle carceri si estende oltre le visite, richiedendo fiducia e dedizione per coltivare cambiamenti reali nella vita di queste persone. Seguendo questa strada, la dimensione umana e sociale trova uno spazio di espressione dentro un ambiente che spesso nega entrambe.