Oggi, la popolazione mondiale supera 8 miliardi, con una diffusione impressionante di telefoni mobili che tocca oltre 6 miliardi di dispositivi attivi. Tuttavia, solo una ristretta percentuale è in grado di programmare e interagire con le macchine a livello di codice, rendendo questo linguaggio una sorta di codice segreto accessibile a pochi. Padre Paolo Benanti, presidente della Commissione Intelligenza Artificiale presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, ha parlato di questa disuguaglianza durante l’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 dell’Università Luiss Guido Carli, mettendo in luce il potenziale dell’IA come strumento di democratizzazione delle competenze digitali.
La barriera linguistica del codice
La programmazione rappresenta un vero e proprio linguaggio che, purtroppo, esclude una fetta enorme della popolazione mondiale. Se da un lato ci sono oltre 8 miliardi di esseri umani, dall’altro troviamo solo 27 milioni di persone capaci di scrivere codice. Questo scenario solleva interrogativi significativi: come possiamo abbattere questa barriera e garantire che l’accesso alle tecnologie avanzate sia una realtà per tutti?
La risposta, secondo Padre Benanti, potrebbe risiedere nell’intelligenza artificiale. Con i giusti strumenti e interfacce, l’IA ha il potenziale di trasformarsi in un alleato prezioso per offrire una nuova abilità d’uso ai dispositivi mobili. L’IA potrebbe fungere da traduttore tra l’utente e il codice, consentendo anche ai neofiti di interagire in maniera efficace con la tecnologia, senza necessità di conoscenze tecniche approfondite.
Riconceptualizzare il diritto di cittadinanza digitale
Il discorso si sposta poi sul concetto di cittadinanza nel mondo digitale. Secondo Benanti, l’intelligenza artificiale potrebbe riformulare le nozioni di inclusione e partecipazione civica in questo nuovo spazio. Un utilizzo intelligente dell’IA non solo abilita l’accesso alle informazioni, ma offre anche strumenti per interagire meglio nel contesto sociale e lavorativo di oggi.
Il messaggio centrale è chiaro: le persone devono possedere le competenze necessarie per navigare in un ambiente dove l’IA è sempre più centrale. Questi strumenti possono fungere da potenziatori di abilità, estendendo la possibilità di partecipare attivamente alla vita civile e professionale nel contesto digitale. I cittadini digitali del futuro, quindi, si troveranno a dover acquisire competenze nuove e affinare le proprie capacità per adattarsi a un panorama lavorativo in continua evoluzione.
L’Academia e il futuro dell’azione umana
Un altro punto cruciale toccato dal presidente della Commissione AI riguarda la responsabilità delle istituzioni educative. L’Accademia deve interrogarsi su cosa significhi oggi avere la capacità di agire in un contesto dove reale e digitale si intrecciano. La comprensione di questa nuova realtà consentirà alle università di delineare percorsi formativi più adeguati, capaci di formare cittadini e lavoratori in sintonia con le esigenze del mercato.
Determinante sarà anche capire i confini dell’intelligenza artificiale: quali sono le sue capacità e dove, invece, rimangono i limiti. Creare una consapevolezza critica riguardo a ciò che l’IA può e non può fare è essenziale per mettere le persone in una posizione di controllo. Solo formando degli individui informati e consapevoli si potrà garantire che le macchine diventino strumenti di supporto e non di sostituzione, preservando la centralità dell’essere umano in un mondo sempre più tecnologico.
Ultimo aggiornamento il 13 Dicembre 2024 da Sara Gatti