L’attuale panorama politico mondiale è segnato da una crescente tensione tra poteri economici e politiche governative. L’analisi di Massimo Giannini, comparsa su La Repubblica, solleva interrogativi cruciali riguardo alle direzioni intraprese da leader come Donald Trump e al significato di accordi internazionali come quello tra Stati Uniti e Russia. È una situazione che chiama in causa non solo le relazioni internazionali, ma anche i fondamenti stessi della giustizia e dell’equità economica nel corso degli ultimi quarant’anni.
Trump: una minaccia all’ordine internazionale
Donald Trump non è più visto come un provocatore che gioca al rialzo per poi tornare a un accordo più ragionevole, ma come un attore che mira seriamente a cambiare le regole del gioco politico. La sua retorica, centrata sulla “sopraffazione” dei deboli e sull’uso diffuso della “menzogna“, suggerisce un approccio che ignora non solo il diritto internazionale ma anche quello interno. Le sue azioni non si limitano a questioni interne: l’odierna configurazione geopolitica sembra suggerire una visione in cui la giustizia è subordinata a un concetto di potere basato sulla forza.
La questione sul tavolo riguarda in particolare gli accordi USA-Russia per la pace in Ucraina, nei quali si può percepire il rischio di una spartizione di un “bottino” piuttosto che una reale ricerca di stabilità per il paese europeo. Tali sviluppi pongono una seria interrogazione sul futuro delle relazioni internazionali e su come queste possono influenzare le vite quotidiane dei cittadini.
Potere economico e strategia neoliberista
L’analisi di Giannini indica chiaramente che il disastro politico ed economico che oggi viviamo è il risultato di scelte progettate nel profondo, orchestrate da élite economiche nel corso degli ultimi 40 anni. Sotto l’influenza di queste forze, il neoliberismo ha guadagnato terreno, ridefinendo le dinamiche di potere e governance. Le visioni di Milton Friedman, che enfatizzano come l’economia debba essere gestita da pochi e senza intervento statale, rappresentano il punto di partenza di questo mutamento.
Contrariamente ai principi keynesiani, che sostengono un’intervenzione dello Stato per ridistribuire la ricchezza, le attuali pratiche hanno portato a una concentrazione della ricchezza e del potere nelle mani di una ristretta élite, molto vicina ai poteri oligarchici. Ciò ha condotto a un impoverimento crescente del ceto medio e dei più vulnerabili, rendendo critica la necessità di un cambiamento radicale nella governance economica.
La richiesta di una risposta economica e sociale
In un contesto delicato come quello attuale, non è sufficiente parlare di riarmo o interventi militari, come sostenuto da alcuni leader europei. La soluzione, piuttosto, risiede nella necessità di riavviare l’economia sulle basi di un programma che richieda un intervento statale forte. Si tratta di creare un ambiente in cui la giustizia economica possa prevalere, rispondendo alle esigenze di una società sempre più disillusa e impoverita.
Portare avanti politiche che si indirizzino verso la redistribuzione della ricchezza, l’inclusione dei più vulnerabili e l’incremento della giustizia sociale dovrebbero diventare le priorità. Solo riportando la questione economica su binari keynesiani sarà possibile liberarsi dall’influenza opprimente degli oligarchi e restituire il potere economico e politico al popolo. Solo un ritorno alla giustizia sociale e all’equità economica potrà garantire un futuro stabile e prospero per le generazioni a venire.