Una tragica storia di dipendenza e violenza ha scosso Milano e l’attenzione pubblica dopo l’omicidio di Sharon Verzeni, uccisa da Moussa Sangare, il suo presunto assassino. La sorella di Moussa, Awa, in un’intervista, ha condiviso la sua angoscia, rivelando la complessità della situazione familiare e il dolore che sta vivendo la comunità. La vicenda, che ha portato alla luce temi importanti come la salute mentale e la lotta contro la tossicodipendenza, ci offre uno sguardo profondo su una tragedia che ha colpito tutti i coinvolti.
La testimonianza della sorella
Awa Sangare, studentessa di ingegneria gestionale, ha espresso il suo shock e la sua disperazione quando ha appreso della morte di Sharon. “Quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza, siamo rimaste choccate. Sapevamo che non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo,” ha dichiarato Awa in un’intervista a Eco di Bergamo. La giovane donna ha fatto capire quanto fosse grande il dolore per la famiglia Verzeni, sottolineando, “il nostro pensiero va a quella povera ragazza, a Sharon e alla sua famiglia, siamo molto addolorate.”
Awa ha denunciato il fatto che, nonostante gli sforzi della famiglia per aiutare Moussa a superare la sua dipendenza, nessuna istituzione ha risposto adeguatamente. “Per mio fratello nessuno si è mosso,” ha affermato. “Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato.” Questa denuncia mette in luce la fragilità delle risposte istituzionali di fronte a problemi complessi come la tossicodipendenza.
L’isolamento e la violenza
Awa ha parlato dell’isolamento che ha caratterizzato la vita di Moussa, specialmente dopo i suoi viaggi negli Stati Uniti e a Londra nel 2019. Secondo la sorella, prima di partire era un ragazzo tranquillo, ma al ritorno aveva iniziato a far uso di droghe sintetiche, cambiando drasticamente il suo comportamento. “Era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse, ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato all’estero,” ha raccontato Awa, evidenziando il tragico declino del fratello.
La situazione è diventata ancora più grave quando, dopo la terza denuncia presentata dalle donne della famiglia, Moussa ha smesso di vivere con loro. Awa ha descritto l’atmosfera di paura che pervadeva la casa: “Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai.” Anche se inizialmente Moussa non mostrava segni di violenza, il suo comportamento è cambiato. “Non si è mai mostrato violento con noi, fino al 20 aprile, quando mi ha minacciato con un coltello,” ha raccontato Awa, descrivendo un episodio di crescente tensione che segna una svolta nella storia familiare.
Il clamoroso epilogo
Il culmine di questa tragica vicenda è stato l’omicidio di Sharon, che ha sconvolto non solo la famiglia Sangare ma anche l’intera comunità. La denuncia di Awa e la storia di Moussa sono un monito su come la salute mentale e la tossicodipendenza possano influenzare le dinamiche familiari, portando a risultati devastanti. Le istituzioni, a quanto pare, non sono state in grado di gestire adeguatamente la situazione di Moussa, lasciando che il degrado personale sfoci nel peggiore dei modi.
Questa vicenda rimane una ferita aperta per la comunità milanese, portando a una riflessione profonda sulla necessità di un’azione più efficace per affrontare la complessità dei problemi legati alla salute mentale e alle tossicodipendenze. La mancanza di interventi tempestivi e risolutivi potrebbe aver contribuito a questa tragedia, mettendo in evidenza l’urgenza di un supporto più robusto e accessibile per chiunque si trovi a combattere contro queste nemiche invisibili.