L’aggressione russa in Ucraina dura da quasi mille giorni, creando una situazione di crisi profonda e persistente. In un’intervista rilasciata ai media vaticani, Monsignor Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kyiv, ha analizzato le difficoltà quotidiane che la popolazione affronta, ma ha anche evidenziato gli spazi di speranza e solidarietà che emergono nel contesto di questo conflitto. Attraverso la testimonianza del lavoro dei volontari e la resilienza della Chiesa, Kulbokas offre una visione umana e concreta della situazione attuale.
La vita quotidiana e la fede nel conflitto
Monsignor Kulbokas, riflettendo sull’impatto della guerra, ha parlato della sofferenza che la popolazione ucraina vive sia nei territori controllati dal governo sia tra coloro che si trovano in esilio. La Chiesa ha assunto un ruolo fondamentale nell’offrire sostegno spirituale e materiale. I sacerdoti, in particolare, sono diventati pilastri per le comunità, facendo sentire la loro presenza anche nei luoghi più colpiti dai combattimenti. Un esempio è la situazione a Kherson, dove i sacerdoti sono stati riconosciuti come figure centrali, dispensatori di conforto e assistenza in un contesto di grande bisogno.
Kulbokas ha sottolineato l’importanza dell’accompagnamento spirituale per coloro che si trovano in situazioni disperate, in particolare per i prigionieri e le loro famiglie. La Chiesa, con le sue preghiere e azioni solidali, rappresenta un faro di speranza in un periodo buio, dove le domande sul senso della vita e dell’esistenza si fanno sempre più pressanti. Inoltre, i cappellani militari, operando a stretto contatto con i soldati, svolgono una funzione cruciale nel ricordare che la vita e la salute non sono tutto e che ci sono legami più profondi che vanno oltre la sofferenza immediata.
La sfiducia nei confronti della comunità internazionale
Alla luce della guerra protratta e dell’incapacità degli organismi internazionali di fornire soluzioni concrete, un marcato senso di sfiducia permea tra la popolazione. Come sottolineato da Kulbokas, le istituzioni come le Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza non sembrano in grado di affrontare efficacemente la crisi, soprattutto considerando le tensioni interne alle loro strutture. Le famiglie dei prigionieri spesso esprimono il loro scetticismo riguardo alle Convenzioni di Ginevra, evidenziando l’inefficacia degli organismi nel garantire i diritti e il benessere dei detenuti.
Il nunzio apostolico ha avvertito che gran parte della popolazione, specie a Kyiv, è talmente assorbita da altre preoccupazioni quotidiane da non poter contare i giorni della guerra, rendendo la situazione ancora più complessa. Molti non si concentrano sulla durata del conflitto, ma piuttosto su come affrontare le sfide immediate che si presentano, come la mancanza di risorse e il bisogno di sicurezza.
La crisi umanitaria e i bisogni fondamentali
La situazione umanitaria in Ucraina è critica, con molte persone in condizioni di vulnerabilità. Kulbokas ha menzionato diversi gruppi che soffrono particolarmente, come ex prigionieri e bambini che ritornano in patria. Questi ultimi spesso necessitano di accoglienza e supporto per reintegrarsi nella società. La situazione è talmente seria che le diocesi e le congregazioni religiose sono chiamate a far fronte a una crescente domanda di assistenza.
Un’altra sfida significativa è la diminuzione drastica degli aiuti umanitari nel 2024, che ha messo a dura prova gli sforzi di assistenza. Alcuni volontari dall’Italia hanno recentemente riferito della diffusione di bisogni elementari come legna da ardere, beni per l’igiene, vestiti e cibo soprattutto nelle regioni intorno a Kharkiv, dove la situazione è particolarmente critica. In molte aree, l’accesso all’acqua potabile è limitato, rendendo le ingerenze umanitarie ancora più urgenti.
La risposta della Chiesa e il suo ruolo etico
Nel contesto della guerra, la Chiesa ha cercato di mantenere un ruolo unificante tra le diverse confessioni religiose, lavorando per superare divisioni storiche. I membri del clero sono stati incoraggiati a valorizzare ciò che unisce, piuttosto che ciò che divide. Kulbokas ha sottolineato come la Chiesa, e in particolare i cappellani militari, possano servire come “voce della coscienza”, cercando di sensibilizzare le autorità su un approccio umano alla guerra. Questa è una delle missioni più difficili, ma fondamentali, che la Chiesa si trova ad affrontare oggi.
Inoltre, c’è un crescente bisogno di supporto per le famiglie delle vittime e dei prigionieri di guerra. Kulbokas ha condiviso come il sostegno spirituale e la semplicissima presenza fisica possano fare la differenza nell’alleviare la sofferenza delle persone. È essenziale, ha insistito, che i sacerdoti e i volontari vengano formati adeguatamente per affrontare queste delicate situazioni, poiché non basta offrire parole di conforto, ma è importante creare uno spazio di ascolto e condivisione.
Monsignor Kulbokas, infine, ha voluto riconoscere il valore dell’impegno dei volontari che continuano a giungere in Ucraina, portando aiuti e manifestando vicinanza alla popolazione. Riconoscendo il contrasto tra il calcolo statistico della guerra e la tenerezza degli atti umani, la sua testimonianza appare come un segno di speranza e umanità, elementi fondamentali in un contesto di conflitto che ha messo a dura prova l’animo di un intero Paese.
Ultimo aggiornamento il 17 Novembre 2024 da Marco Mintillo